Originariamente pubblicato sul sito di Adif – Associazione Diritti e Frontiere
In questi giorni il Governo ha varato un provvedimento che dovrebbe superare i decreti Salvini. Si tratta però di un testo contraddittorio, con alcune norme di rottura col passato, e altre che mantengono, e in qualche caso peggiorano, le contro-riforme dell’ex Ministro leghista. Ecco il decreto spiegato punto per punto
È davvero difficile dare un giudizio sul nuovo provvedimento che, nelle intenzioni, vorrebbe superare e abrogare i decreti Salvini su immigrazione e “sicurezza”. Siamo di fronte infatti a un testo assai complesso, il cui segno è tutt’altro che univoco: e in cui norme fortemente innovative – di autentica rottura con il passato – convivono con disposizioni che mantengono in vigore, e in qualche caso addirittura peggiorano, l’impianto repressivo e restrittivo delle politiche migratorie.
È dunque difficile, si diceva, dare un giudizio univoco. A una lettura attenta del testo, sembrano decisamente eccessivi gli entusiasmi di Luigi Manconi, secondo il quale da oggi, per il legislatore,«i migranti e i profughi tornano ad essere persone in carne ed ossa». Ma altrettanto fuori luogo appaiono le affermazioni di chi equipara il provvedimento a un “decreto Salvini tris”.
Se proprio volessimo dare una definizione sintetica, potremmo parlare piuttosto di un decreto «dottor Jekill e Mister Hyde», o di un Giano bifronte: con delle parti molto avanzate e altre che, invece, si muovono nel solco tracciato da Salvini. Come se il testo fosse opera di due diverse “manine”, a ciascuna delle quali è stato dato il compito di scrivere una parte diversa del decreto.
Proviamo allora a ripercorrere le principali novità: chi voglia approfondire le disposizioni di dettaglio può scaricare il testo sinottico, che mette a confronto le norme previgenti con le modifiche introdotte dal decreto.
Gestione delle frontiere: l’eredità di Salvini
Decreto Lamorgese e norme vigenti: leggi il quadro sinottico delle modifiche inttrodotte dal decreto
La parte forse peggiore del provvedimento è quella che riguarda la gestione delle frontiere: qui l’impostazione della norma, come vedremo tra un attimo, è in assoluta continuità con i decreti Salvini, e più in generale con le politiche migratorie restrittive e repressive degli ultimi anni. Per comprendere questo punto, sarà bene riassumere molto schematicamente le previsioni del decreto Salvini.
Le norme varate dall’allora Ministro leghista hanno ridisegnato tutta la procedura di gestione degli arrivi alla frontiera. È stato anzitutto previsto, per la prima volta in Italia, il trattenimento dei richiedenti asilo «a scopo identificativo»: i migranti che sbarcano sulle coste e che chiedono asilo possono cioè essere rinchiusi per trenta giorni in un «centro» (sia esso un hotspot, un centro per il rimpatrio o un hub: i nomi sono diversi, ma si tratta sempre di luoghi detentivi), se ciò è ritenuto necessario per stabilire l’identità o la nazionalità degli interessati.
Dato che tutte o quasi tutte le persone che giungono in Italia via mare non hanno un passaporto in tasca, una disposizione di questo genere può riguardare la totalità dei migranti in arrivo: in pratica, il trattenimento / detenzione diventa potenzialmente lo strumento ordinario di gestione degli «sbarchi».
Per coloro che chiedono asilo alla frontiera il decreto Salvini prevede inoltre una «procedura accellerata»: in pratica, le Commissioni – gli organismi incaricati di stabilire chi ha effettivamente il diritto di restare in Italia come rifugiato – sono obbligate a decidere sui singoli casi nel giro di pochi giorni o di poche ore; le audizioni si trasformano così in colloqui frettolosi, e i richiedenti non sono messi in condizione di far valere adeguatamente le loro ragioni.
Lo svilimento del diritto di asilo nei decreti Salvini: leggi il dossier di Chiara Favilli su Questione Giustizia
Infine, il decreto Salvini ha introdotto anche nell’ordinamento italiano la nozione di «paese di origine sicuro». Per capire il significato di questa strana espressione, bisogna ricordare che secondo la Convenzione di Ginevra l’asilo si fonda sull’esame della specifica situazione individuale dello straniero. Mentre, prima della Seconda Guerra Mondiale, l’asilo veniva concesso sulla base della semplice nazionalità (gli armeni, ad esempio, erano considerati rifugiati, mentre gli ebrei in fuga dalla Germania nazista non avevano un diritto alla protezione), con le nuove regole dettate a Ginevra le autorità dovevano valutare le domande caso per caso: potevano quindi respingere anche persone provenienti da paesi dittatoriali (se non avevano un fondato timore di persecuzione per se stesse) e, all’inverso, potevano accogliere anche stranieri provenienti da paesi democratici (se rischiavano effettivamente di essere perseguitati: perché non sempre i paesi formalmente democratici sono tali anche nei fatti…).
Il decreto Salvini sovverte questa impostazione, e introduce una lista di paesi «sicuri», cioè «sicuramente democratici», «sicuramente garantisti», «sicuramente rispettosi dei diritti umani» ecc.: paesi in cui, secondo il legislatore italiano, non possono verificarsi persecuzioni (o quasi). Il richiedente asilo che provenga da uno di questi paesi è dunque considerato «quasi sicuramente bugiardo»: e non dovrà avere lo status di rifugiato, a meno che non porti prove decisive della sua persecuzione. Nel decreto Salvini, i richiedenti che arrivano dai paesi «sicuri» sono sottoposti a procedure sommarie, che nei fatti compromettono il loro diritto alla protezione.
Le norme «Mr. Hyde»: frontiere blindate
Il decreto Lamorgese lascia inalterata questa impostazione dei decreti Salvini: restano dunque in vigore le norme relative al trattenimento in frontiera, alle procedure accellerate e al trattamento dei richiedenti che provengono da paesi di origine «sicuri».
Le modifiche introdotte dal provvedimento Lamorgese non sono sostanziali. A volte si tratta di piccoli miglioramenti: come quando si riduce il tempo massimo di trattenimento nei «centri per il rimpatrio» dagli attuali 180 giorni (6 mesi) a 120 giorni (4 mesi). Altre volte si interviene sulla qualità tecnica del testo normativo. Così, sempre per fare un esempio, si introduce una distinzione netta tra «esame prioritario» di una domanda di asilo (che avviene in sostanza quando la Commissione esamina quella domanda prima delle altre) e «procedura accellerata» (in cui la Commissione deve decidere in tempi brevi e senza un reale confronto con il richiedente): il decreto Salvini aveva fatto un po’ di confusione tra le due cose, che ora col nuovo provvedimento sono ben distinte e destinate a categorie diverse. Altre volte ancora, le norme salviniane vengono addirittura inasprite, come quando si prevede il giudizio direttissimo contro i migranti che hanno partecipato a rivolte e proteste all’interno dei Centri per il Rimpatrio.
Persino sui temi tanto dibattuti del soccorso in mare, della «chiusura dei porti» e della criminalizzazione delle Ong il testo Lamorgese non inverte la rotta rispetto all’impostazione Salvini. Rimane ad esempio il principio per cui è possibile vietare l’ingresso in acque italiane a navi non militari. Scompare la multa «astronomica» di un milione di euro, le ammende potranno variare da 10mila a 50mila euro e dovranno essere decise da un giudice: resta però, sia pure attenuata, la criminalizzazione delle Ong impegnate nelle attività di soccorso.
Fatti e mistificazioni sui soccorsi in mare: leggi l’articolo di Fulvio Vassallo Paleologo
Ma soprattutto si prevede che le operazioni di salvataggio «siano immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera, ed effettuate nel rispetto delle indicazione della competente autorità per la ricerca e il soccorso in mare». E questa dicitura apre alla possibilità che le Ong siano obbligate a far riferimento alla Guardia Costiera Libica: un fatto molto grave.
A guardar bene, siamo di fronte alla riconferma dell’impostazione salviniana: frontiere chiuse, trattamento detentivo o semi-detentivo dei migranti che tentano di attraversarle, e forti restrizioni al diritto di asilo.
Il problema non è che il decreto Lamorgese è «troppo timido», «poco coraggioso», «non ancora sufficiente», come pure è stato scritto: no, il dramma è che questa parte del nuovo decreto è pienamente interna alla filosofia punitiva di Salvini. Che è cosa molto più grave.
Il dott. Jekill e la protezione umanitaria
E tuttavia, si diceva, il decreto reca anche le tracce di un’altra «manina», di un dott. Jekill che – al contrario del suo collega Mr. Hyde – ha notevolmente migliorato alcune norme.
Il primo punto da sottolineare riguarda la reintroduzione della cosiddetta «protezione umanitaria» (ora ribattezzata «protezione speciale»). Affinché il lettore ci segua, sarà opportuno ricapitolare brevemente di cosa si tratta.
Prima del decreto Salvini, le Commissioni incaricate di decidere sulle domande di asilo potevano prendere quattro diversi provvedimenti: diniego secco (la domanda di asilo non è accolta, e il richiedente non può restare in Italia, fatto salvo ovviamente il diritto di ricorso a un giudice); status di rifugiato (quando viene riconosciuto un «fondato timore di persecuzione»); status di protezione sussidiaria (quando il richiedente fugge da guerre, conflitti armati o dalla pena di morte); e, appunto, status di protezione umanitaria.
Il permesso di soggiorno per «protezione umanitaria» veniva rilasciato quando la Commissione verificava la presenza – così recitava la legge – di «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano». La norma era volutamente generica, perché alludeva a tutte quelle situazioni in cui il rilascio di un permesso di soggiorno si rendeva necessario per tutelare i diritti fondamentali di una persona.
Solo per fare alcuni esempi, poteva ottenere questo status chi avesse gravi problemi di salute, chi si trovasse in condizioni di vulnerabilità o chi avesse subito violenze e abusi (sia nel paese di origine che nei paesi di transito, come la Libia). Alcuni giudici, in sede di ricorso, avevano riconosciuto la protezione umanitaria anche ai richiedenti asilo che, ormai da tempo residenti in Italia, avevano maturato un loro radicamento sociale: un lavoro, una famiglia, una rete stabile di relazioni.
Il permesso di soggiorno per vita privata e familiare in Francia: leggi l’articolo sulla rivista «Plein Droit» (in francese)
La protezione umanitaria serviva infine per garantire la piena applicazione del dettato costituzionale. Nella nostra Carta fondamentale, infatti, il diritto di asilo è molto più ampio rispetto a quello definito dalla Convenzione di Ginevra, perché non richiede necessariamente una persecuzione individuale: secondo l’articolo 10 della Carta, ha diritto di asilo «lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana».
La protezione umanitaria era stata abolita dal primo dei decreti Salvini, sulla base della (risibile) motivazione secondo cui la norma avrebbe avuto «contorni indefiniti» (così il Ministero dell’Interno nelle sue slide illustrative: una perla tutta da leggere…). Da tempo si parlava della possibile reintroduzione di questo istituto, e il decreto Lamorgese in effetti lo reintroduce. La disposizione dice che il permesso umanitario deve essere rilasciato quando ciò si renda necessario per garantire «il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano»: che è grosso modo la stessa formulazione della «vecchia» norma.
Ma il decreto Lamorgese va oltre, e prevede il rilascio di un permesso di soggiorno anche nei casi in cui «esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare». Si tratta di una novità nell’ordinamento italiano: è una norma che fa riferimento al famoso articolo 8 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU), che impone agli Stati il rispetto, per l’appunto, della vita privata e familiare delle persone. Di solito, nei paesi europei, l’art. 8 CEDU non è stato utilizzato per legittimare il diritto di soggiorno degli stranieri: a farlo è stata solo la Francia, con la legge Chevènement del 1998, che ha introdotto un vero e proprio permesso di soggiorno per «vita privata e familiare».
L’Italia si allinea a quella riforma transalpina, e ciò configura una protezione umanitaria più ampia di quella previgente: un passo avanti decisamente innovativo e inaspettato.
Un altro dott. Jekill: la conversione dei permessi di soggiorno
La convertibilità dei permessi di soggiorno dovrebbe essere uno dei pilastri di una nuova politica migratoria
C’è un altro «dottor Jekill» che ha messo mano alla riforma, e che ha partorito una norma di grande interesse: il decreto Lamorgese prevede infatti la possibilità di trasformare vari permessi di soggiorno di natura «provvisoria» (o ritenuta tale dal legislatore) in permessi di soggiorno per lavoro.
Diventano così «convertibili» i permessi per protezione speciale (la nuova protezione umanitaria prevista dal decreto), ma anche i permessi per calamità naturale nel paese di origine(ideati da Salvini), e quelli per attività sportiva, per lavoro artistico, per residenza elettiva o per motivi religiosi (su questi ultimi gravava un parere negativo del Consiglio di Stato).
Soprattutto, viene prevista la conversione del permesso per «assistenza minori», che è un documento rilasciato su autorizzazione del Tribunale per i Minorenni ai genitori irregolari di bambini presenti in Italia. In questi anni, molte coppie con bambini hanno chiesto e ottenuto questo permesso di soggiorno: hanno così avuto la possibilità di lavorare, di inserirsi, di costruire una vita nel nostro paese. Poi, però, alla scadenza del permesso di soggiorno, si sono trovati di nuovo irregolari, perché non era possibile «convertire»il loro documento, anche avendo già un contratto di lavoro.
I più fortunati hanno presentato una nuova domanda al Tribunale per i Minorenni, e hanno ottenuto una nuova autorizzazione e un nuovo permesso: ma hanno dovuto aspettare lunghi mesi prima di ricevere la risposta (e spesso hanno perso il lavoro, perché nel periodo di attesa sono rimasti senza documenti di soggiorno, in una condizione paradossale di semiregolarità). Tutti gli altri, i meno fortunati, sono tornati ad essere irregolari. Ora, col decreto Lamorgese, il permesso per assistenza minori diventa finalmente convertibile.
La questione della «convertibilità» dei permessi è decisiva, perché uno dei modi in cui si diventa irregolari è proprio questo: si entra in Italia regolarmente, o si riesce in qualche modo a regolarizzarsi, ma poi si torna ad essere «clandestini» per un cavillo burocratico, perché la legge non consente di rinnovare il soggiorno.
Ecco, su questo punto potremmo dire davvero che il decreto Lamorgese è «timido», «poco coraggioso»: che insomma va nella direzione giusta, ma in modo ancora troppo cauto e circospetto. Perché la convertibilità dei permessi di soggiorno dovrebbe essere uno dei pilastri di una nuova politica migratoria.
Perché non pensare ad esempio di rendere «convertibili» anche i visti turistici? Oggi, chi entra in Italia per motivi di turismo può restare solo tre mesi, e alla scadenza di questo periodo di tempo non ha alcuna possibilità di rimanere sul territorio: anche se ha trovato un lavoro, anche se è in grado di mantenersi autonomamente, è costretto a fare le valigie, solo perché il visto turistico non si può trasformare in permesso di soggiorno per lavoro. È esattamente in questo modo che le nostre politiche migratorie fabbricano i «clandestini», che poi si vogliono espellere.
E perché non rendere convertibili almeno una parte dei permessi per richiesta di asilo? Un richiedente asilo che soggiorna in Italia da tre o quattro anni non potrebbe avere il diritto di avere un «normale» permesso per lavoro, se è stato regolarmente assunto?
Accoglienza e residenza
Positive (anche se in qualche modo più «scontate») sono le disposizioni che riguardano l’accoglienza e il diritto di residenza per i richiedenti asilo.
Sull’accoglienza si torna sostanzialmente alla situazione «pre-Salvini», con i centri Cas – gestiti dalle Prefetture – destinati ad accogliere i richiedenti asilo appena arrivati, e le strutture ex-Sprar gestite dai Comuni pensate per la seconda accoglienza e per i percorsi di inserimento sociale. Lo Sprar viene ora ribattezzato Sai, Sistema di accoglienza e integrazione, ma la sostanza non cambia.
Preoccupa solo la «clausola di invarianza finanziaria» introdotta dall’articolo 11 del decreto: secondo la quale tutte le nuove norme devono essere attuate «mediante l’utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente». In pratica, lo Stato modifica e riforma, ma non mette un soldo in più: ed è difficile pensare a una riforma seria del sistema di accoglienza se non si prevede uno stanziamento di risorse aggiuntive.
Infine, viene abolita l’odiosa norma del decreto Salvini che, nelle intenzioni del Ministro leghista, doveva impedire ai richiedenti asilo di iscriversi all’anagrafe. Qualcuno – come Emilio Santoro – aveva già spiegato che quella norma non poteva impedire di riconoscere la residenza a nessuno; poi la Corte Costituzionale l’aveva abrogata. Oggi, finalmente, quella disposizione viene in via definitiva consegnata al passato.
Sergio Bontempelli