La regolarizzazione: necessaria, ma non sufficiente

Originariamente pubblicato sul sito di Adif- Associazione Diritti e Frontiere

È circolato in questi giorni un appello, sottoscritto da numerose associazioni e realtà della società civile, che chiede una regolarizzazione degli immigrati sans papiers presenti in Italia.

Come ricordano i firmatari, la Camera dei Deputati aveva approvato il 23 Dicembre scorso un ordine del giorno in cui si chiedeva al Governo di «valutare l’opportunità di (…) un provvedimento (…) [di] regolarizzazione dei cittadini stranieri irregolari»: una formula molto cauta, a cui aveva fatto seguito una dichiarazione della Ministra Lamorgese altrettanto prudente, ma pur sempre di apertura («l’intenzione del Governo (…) è quella di valutare le questioni poste dall’ordine del giorno (…), nel quadro più generale di una complessiva rivisitazione delle (…) politiche migratorie»). A queste prime, timidissime dichiarazioni non è seguito però alcun passo concreto, e anche il dibattito pubblico sul tema si è presto ridotto al silenzio.

La regolarizzazione: un provvedimento necessario…

Eppure, un provvedimento di regolarizzazione è ormai urgente e non più procastinabile. È urgente soprattutto per quelle decine di migliaia di cittadini stranieri che soggiornano in Italia, e che sono attualmente condannati ad una condizione permanente di invisibilità. Bisogna ricordare infatti:

  1. che la normativa proibisce in linea di principio (salvo pochissime eccezioni) l’emersione di uno straniero irregolare, anche in presenza di un datore di lavoro disposto ad assumere;
  2. che coloro che entrano nel nostro paese con un visto turistico, valido per tre mesi, non possono ottenere un permesso di soggiorno per lavoro;
  3. che le quote annuali di ingresso – uno strumento che per alcuni anni aveva consentito una modalità sia pur tortuosa e impropria di regolarizzazione – sono state azzerate a partire dal 2012, con il risultato che oggi le frontiere sono chiuse agli ingressi per lavoro;
  4. che, infine, i decreti Salvini hanno di fatto smantellato il sistema di asilo, e hanno condannato all’irregolarità migliaia di richiedenti.

In pratica, chi oggi non ha un permesso di soggiorno non ha alcuna possibilità di ottenerlo: è evidente che una situazione del genere non è sostenibile. Da questo punto di vista, un provvedimento di regolarizzazione è assolutamente urgente e necessario: oltretutto una misura di questo tipo – come ha osservato la Campagna «Ero Straniero» ­ comporterebbe notevoli benefici per l’economia nazionale, e per lo stesso bilancio dello Stato.

Infine, nel drammatico periodo di emergenza pandemica che stiamo vivendo, un provvedimento di regolarizzazione aiuterebbe a far emergere le molte situazioni di marginalità abitativa, lavorativa e sociale in cui vivono i migranti irregolari. Hanno dunque ragione i firmatari dell’appello, quando dicono che «il tema (…) non può essere accantonato e rimandato a tempi migliori; anzi, diventa ancor più rilevante e urgente nella contingenza che ci troviamo ad attraversare».

… ma non sufficiente

Chiudere i Centri per il Rimpatrio
Leggi l’appello delle associazioni

Se però si guarda all’emergenza dettata dalla pandemia, un provvedimento di regolarizzazione appare certo necessario, ma non sufficiente. E ciò per almeno due motivi.

In primo luogo, perché una regolarizzazione incide sullo status giuridico delle persone straniere (cioè sulla regolarità del loro soggiorno), e non tutti i problemi posti dall’epidemia sono riconducibili allo status. Per fare solo un esempio, vi sono migliaia di richiedenti asilo perfettamente regolari, che vivono in strutture di accoglienza sovraffollate dove è molto alto il pericolo di contagio: in questo caso, il problema non è il permesso di soggiorno, ma la condizione abitativa in cui queste persone si trovano a vivere.

In secondo luogo perché – come vedremo tra un attimo – i tempi inevitabilmente lunghi di una «sanatoria» non consentirebbero di affrontare le urgenze connesse alla diffusione del Covid-19.

Svuotare i CPR, chiudere i centri di accoglienza sovraffollati

Sono dunque necessari provvedimenti che impediscano il diffondersi del virus in situazioni di sovraffollamento. Proprio in questi giorni, alcune associazioni hanno avanzato alcune proposte concrete, che andrebbero attuate immediatamente. Qui di seguito elenchiamo le più significative:

  • Chiusura di tutti i Centri di Accoglienza Straordinaria di media e grande dimensione, e ricollocazione degli ospiti in un sistema di accoglienza diffusa;
  • Accesso alle strutture Siproimi (ex Sprar) anche per i titolari di permessi di soggiorno attualmente esclusi (motivi umanitari, casi speciali regime transitorio, protezione speciale, richiesta di asilo etc.);
  • Proroga, almeno fino al 30 Aprile 2020, delle misure di «emergenza freddo», in modo da garantire un adeguato alloggio alle persone senza fissa dimora;
  • Sospensione dei provvedimenti di cessazione/revoca dell’accoglienza, nonché riammissione nelle strutture di coloro che ne sono stati allontanati;
  • Immediata sospensione di ogni nuovo ingresso nei CPR (centri per il rimpatrio) e, per tutti i migranti già trattenuti, attuazione delle misure alternative al trattenimento (come richiesto anche da una lettera aperta inviata al Ministero, il 12 Marzo scorso, da decine di avvocati e associazioni).

Perché la regolarizzazione non basta

Quanto ai provvedimenti che attengono allo status giuridico dei migranti, la regolarizzazione deve accompagnarsi ad altre misure che tengano conto dell’urgenza in cui stiamo vivendo. Per quanto si possano accellerare i tempi, infatti, una «sanatoria» richiederebbe mesi prima di concludersi: sarebbe necessario prevedere una prima fase di inoltro delle domande, poi la relativa valutazione da parte delle Questure, infine la consegna materiale dei permessi ai richiedenti.

Queste procedure rischierebbero di subire ritardi proprio a causa della pandemia. Se la fase di invio delle domande può essere affidata senza troppi problemi a strumenti informatizzati (come già accade, ad esempio, per le richieste di ricongiungimento familiare e di concessione della cittadinanza), per la consegna dei documenti è necessaria la presenza fisica dell’interessato: ed è difficile pensare di questi tempi a lunghe file in Questura per il ritiro dei permessi di soggiorno. Tra l’altro, lo straniero dovrebbe recarsi in Questura anche per le impronte digitali, obbligatorie per legge (Testo Unico Immigrazione, art. 5, comma 2-bis).

Nel periodo tra la presentazione delle domande e la conclusione della regolarizzazione, gli stranieri disporrebbero inoltre di una semplice ricevuta. Se questa ricevuta fosse in formato Pdf (come accade oggi per le procedure informatizzate del ricongiungimento e della cittadinanza), difficilmente potrebbe valere come documento sostitutivo del permesso di soggiorno. Si tratterebbe infatti di un file che non avrebbe i requisiti per costituire un documento di identificazione (DPR 445/00, art. 1 lettera d), a meno che non si trovi il modo di includervi la fotografia dell’interessato: cosa tecnicamente non facile da fare in tempi brevi.

Infine, per quanto le maglie di una «sanatoria» possano essere larghe, è ovvio che si debbano prevedere requisiti minimi di accesso (nelle regolarizzazioni del passato era richiesto di solito un contratto di assunzione o un’offerta di lavoro). Chi non avesse tali requisiti resterebbe comunque al di fuori: e vi sono alcune misure di prevenzione del Covid-19 che debbono essere applicate alla totalità della popolazione, senza distinzioni di status.

Cosa si dovrebbe fare, oltre alla «sanatoria»

La regolarizzazione, dunque, è un provvedimento importante, che però nell’attuale fase di emergenza deve essere accompagnato da altre misure. In particolare, è assolutamente indispensabile sospendere, almeno in via temporanea, il legame tra il permesso di soggiorno e l’accesso a determinati diritti e servizi.

Il problema riguarda in primo luogo l’alloggio: secondo l’art. 40 del Testo Unico Immigrazione, tutti i servizi di carattere abitativo (case popolari, alloggi di emergenza, centri collettivi etc.) sono riservati esclusivamente agli immigrati regolari. Prima del 2002, la legge consentiva ai Sindaci – qualora vi fossero particolari «situazioni di emergenza» – di alloggiare anche stranieri «non in regola con le disposizioni sull’ingresso e sul soggiorno», ma questa clausola fu abrogata dalla legge Bossi-Fini. Oggi, con lo sguardo retrospettivo di un’epoca che sta affrontando davvero una «situazione di emergenza», si vedono gli effetti sciagurati di norme così inutilmente vessatorie: eppure, ci dissero all’epoca, la Bossi-Fini serviva per tutelare «la nostra sicurezza»…

Con questa norma, è difficile oggi – se non impossibile – trovare una sistemazione dignitosa e sicura ai tanti cittadini stranieri che si trovano in condizioni di precarietà abitativa: dai braccianti che vivono nelle baraccopoli agricole del Sud, ai rom costretti nei «campi nomadi» informali, fino agli irregolari che alloggiano in sistemazioni di fortuna nelle periferie delle grandi città.

Le Regioni non garantiscono un’adeguata
assistenza sanitaria agli irregolari.
Leggi il dossier Naga/Simm

Ma il problema riguarda anche l’assistenza sanitaria. Perché è vero che, in teoria, anche i migranti irregolari possono accedere alle «cure urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative», come recita l’art. 35 comma 3 del Testo Unico Immigrazione; ma è altrettanto vero che, all’atto pratico, le Regioni non garantiscono un’effettiva assistenza sanitaria a coloro che non hanno il permesso di soggiorno. Come documenta una recente inchiesta condotta dal Naga e dalla Simm, in molti casi gli stranieri irregolari possono accedere solo ad ambulatori gestiti dal volontariato, o sono costretti ad andare al Pronto Soccorso per avere qualunque forma di assistenza, anche la più banale: cosa, quest’ultima, che le linee guida emanate dal Ministero della Salute raccomandano esplicitamente di non fare in tempi di coronavirus.

Una proposta concreta

In concreto, il Governo potrebbe emanare un decreto urgente che sospenda temporaneamente la validità di alcune norme del Testo Unico, come l’art. 34 comma 1 (accesso al Servizio Sanitario Nazionale per gli stranieri regolarmente soggiornanti), l’art. 40 (accesso agli alloggi sociali e di emergenza abitativa, sempre per gli stranieri regolari) e l’art. 41 (accesso alle prestazioni del servizio sociale riservato ai titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno). In via provvisoria, tutti questi servizi (alloggio, provvidenze sociali, iscrizione al SSN ecc.) dovrebbero essere garantiti alle persone presenti a qualsiasi titolo sul territorio, indipendentemente dalla titolarità di un permesso di soggiorno e dalla residenza anagrafica.

La sospensione temporanea di alcune norme, peraltro, non sarebbe una novità assoluta nelle politiche migratorie del nostro paese. Ad esempio, da anni ormai i cittadini stranieri non possono utilizzare le autocertificazioni nelle procedure relative all’immigrazione. C’è una legge secondo cui possono farlo, ma la validità di questa legge è per l’appunto sospesa, e da tempo la «sospensione» viene prorogata di anno in anno, nel classico provvisorio che diventa definitivo. Se il governo lo ha fatto sulle autocertificazioni, perché non dovrebbe farlo per una questione assai più importante, e cioè la tutela della salute in un periodo di epidemia?

Sergio Bontempelli