Ucraina: i rifugiati, messaggeri di pace

Dal sito di Adif – Associazione Diritti e Frontiere

L’escalation bellica in Ucraina, cui stiamo assistendo in queste ore, ha colto impreparati molti commentatori, e ha suscitato incredulità anche nei movimenti pacifisti, che pure si sono tempestivamente mobilitati scendendo in piazza in tutte le città d’Italia. Siamo, inutile dirlo, in un momento drammatico della storia, che sembra preludere a una nuova guerra mondiale: uno scenario, non a caso, irresponsabilmente evocato sia dal presidente bielorusso Aleksander Lukashenko, sia dal presidente degli Usa Joe Biden. In un contesto del genere, le mobilitazioni popolari contro la guerra rischiano di essere letteralmente “risucchiate” da un clima sempre più diffuso di chiamata alle armi. Serve, dunque, una forte presenza pacifista, che sappia imporre sulla scena pubblica un punto di vista chiaro, concreto, autorevole, autonomo dalle parti in conflitto.

1. Non va sottaciuto il fatto che Putin è oggi il principale responsabile di questa crisi, e che l’aggressione all’Ucraina è un crimine ingiustificabile. In questi giorni alcuni esponenti storici del pacifismo italiano – su tutti Luciana Castellina – hanno evidenziato le responsabilità della Nato, la cui progressiva espansione nell’Est Europa ha acuito le tensioni con la Russia. Ora, non c’è dubbio che l’Alleanza Atlantica abbia giocato un ruolo nefasto di destabilizzazione in diversi scacchieri, non ultimo quello europeo: e tuttavia, insistere soltanto o principalmente su questo rischia di far passare in secondo piano le gravissime responsabilità della Russia di Putin. Siamo di fronte a una superpotenza che, ignorando qualsiasi regola di diritto internazionale, invade un paese sovrano, scatena una guerra devastante e provoca la morte di migliaia di civili (per di più usando l’ipocrita retorica dell’operazione di peacekeeping, che abbiamo imparato a conoscere bene negli ultimi decenni…). Un atto del genere deve essere condannato “senza se e senza ma”, come si diceva un tempo. Ovviamente nessun pacifista – né tantomeno Luciana Castellina – ha mai giustificato né sminuito le responsabilità di Putin: e tuttavia, l’enfasi quasi esclusiva sulle politiche dell’Alleanza Atlantica suona quantomeno “fuori fuoco” di fronte al fatto gravissimo del momento, l’invasione ingiustificata (e ingiustificabile) di un paese e di una intera popolazione civile.

2. Il gesto di Putin non è affatto un “eccesso di legittima difesa”: e in Ucraina le repubbliche filo-russe sono corresponsabili del clima di violenza che si è consolidato in questi anni. La propaganda putiniana cerca di presentare l’aggressione come un atto di legittima difesa, a tutela delle minoranze russofone che vivono nelle regioni orientali e meridionali del paese guidato da Volodymyr Zelensky. Anche su questo punto va fatta chiarezza: è vero che in Ucraina, a partire almeno dal 2014, si è assistito a una drammatica escalation di violenze nazionaliste; è altrettanto vero però che i responsabili di questa escalation sono stati tanto i gruppi dirigenti di Kiev quanto i leaders delle autoproclamate «repubbliche popolari» filo-russe e filo-Putin.

Per quanto riguarda il nazionalismo ucraino, si è registrata una sempre maggiore presenza sulla scena pubblica di gruppi esplicitamente neofascisti e neonazisti, spesso non ostacolati o addirittura coperti dal governo di Kiev. Tra gli episodi più drammatici va ricordata la strage di Odessa del 2 Maggio 2014, quando i militanti di Pravyj Sektor – una delle forze più aggressive della galassia neonazi – hanno dato alle fiamme il Palazzo dei Sindacati, dove avevano trovato rifugio alcune decine di manifestanti filo-russi disarmati: il bilancio ufficiale fu di trentotto morti, alcuni dei quali uccisi dagli aguzzini di Pravyj Sektor mentre cercavano di sfuggire alle fiamme.

Sul fronte delle autoproclamate «Repubbliche Popolari», però, le cose non sono molto migliori. I dirigenti di queste entità pseudo-statali provengono quasi tutti dall’estrema destra nazionalista russa, e hanno legami organici con quell’Aleksandr Dugin che è oggi l’eminenza grigia del neofascismo europeo (e che in passato, non a caso, ha avuto rapporti anche con la Lega). Nel Donetsk, una delle due «repubbliche», i dissidenti filo-ucraini vengono spediti senza troppi complimenti a Izoliatsiia, un centro di torture che quanto a ferocia non ha nulla da invidiare a Guantanamo. Le minoranze religiose sono perseguitate, i partiti politici di opposizione sono fuorilegge, e di recente persino le manifestazioni sindacali dei minatori sono state duramente represse. Putin, dunque, non ha alcun titolo a presentarsi quale «garante» dei diritti umani in Ucraina, visto che è lui stesso a violarli nelle zone sotto il suo controllo.

3. Una escalation militare in risposta all’invasione di Putin porterebbe inevitabilmente ad allargare il conflitto, coinvolgendo l’intera Europa. Se il gesto di Putin non trova alcuna giustificazione, contrastarlo con una reazione militare significherebbe coinvolgere tutta l’Europa in un conflitto di dimensioni spaventose. Sta qui il motivo per cui dobbiamo urgentemente sottrarci alla retorica bellicista imperante: che è tanto più ipocrita, in quanto proviene da politici e uomini di Stato che nel corso degli anni hanno a più riprese «flirtato» con la Russia putiniana. Inviare contingenti in Ucraina, o anche solo armare i paesi vicini come la Polonia o la Romania, significherebbe precipitare rapidamente in una guerra mondiale. Non possiamo permettercelo.

4. Una risposta pacifista è oggi difficile ma non impossibile. Non dobbiamo nasconderci che, in questo scenario, l’opzione pacifista è difficile e per molti aspetti contro-intuitiva. Il primo obiettivo – tutt’altro che semplice da raggiungere – deve essere quello di arrivare a un cessate il fuoco, in assenza del quale qualsiasi strategia mirata a contenere l’escalation rischia di segnare il passo.

Decisivo in questo senso può essere il dissenso interno in Russia, che può spingere Putin a fare un passo indietro. Le migliaia di manifestanti scesi per le strade in varie città russe, la presa di posizione della direttrice del Teatro di Mosca, o la coraggiosa scelta del giornale Novaya Gazeta (la testata dove lavorava Anna Politkovskaya, oggi diretta dal Nobel per la Pace Dmitrij Muratov) che è uscito in edizione bilingue russa e ucraina, ci dicono che qualcosa si sta muovendo. Parallelamente, la Russia putiniana va accerchiata con l’isolamento diplomatico e commerciale, e con sanzioni che – come ha scritto Thomas Piketty nell’ultimo numero di Internazionale – colpiscano gli oligarchi e la cerchia di potere di Putin, e non la popolazione.

5. La diaspora ucraina e i rifugiati: messaggeri di pace. Nel medio-lungo periodo, le migliori risorse per una svolta di pace possono essere proprio gli emigranti ucraini (e russi) in Europa, così come i tanti rifugiati che in queste ore stanno lasciando il paese in cerca di salvezza.

Se le sirene delle due opposte (e complementari) propagande nazionaliste si fanno sentire, condizionando anche le rispettive diaspore, resta vero che la popolazione civile ucraina possiede robusti anticorpi, che possono rappresentare la premessa di un nuovo discorso pubblico orientato alla pace. Quasi tutti gli ucraini sono bilingui – parlano o capiscono perfettamente sia il russo che l’ucraino – e molti dei cosiddetti “russofoni” non si percepiscono come un gruppo etnico separato: il mito delle “due Ucraine” è per l’appunto un mito fomentato ad arte. Nelle zone occidentali del paese si parla addirittura uno slang popolare – il suržyk – che è un mix tra russo e ucraino: una mescolanza linguistica molto frequente nelle zone di contatto e di confine. Persino il successo elettorale dell’attuale presidente Zelensky – personaggio in sé tutt’altro che trasparente – ha rappresentato, nell’ormai lontano 2019, una sorta di protesta popolare contro le politiche ultranazionaliste del suo predecessore Petro Poroshenko.

Gli anticorpi al nazionalismo, insomma, ci sono: si tratta di farli emergere, di conferire loro dignità di discorso pubblico. Occorre evitare una jugoslavizzazione dell’Ucraina: è, questo, un obiettivo centrale di un nuovo movimento pacifista.

Come già è accaduto in altre occasioni di conflitto, dunque, l’impegno per i rifugiati e gli esuli è un tassello decisivo dell’impegno per la pace. Chiedere con forza l’apertura delle frontiere, costruire “dal basso” forme di accoglienza diffusa, creare reti di mutuo soccorso e di convivialità con i profughi e i rifugiati, rivendicare diritti e garanzie per tutti gli emigranti e i richiedenti asilo, sono una parte essenziale della difficile lotta per la pace.

Sergio Bontempelli