Immigrazione, otto riforme possibili a normativa (quasi) invariata

Pubblicato sul sito di Adif-Associazione Diritti e Frontiere, 21 Maggio 2023

Il prossimo 25 Luglio festeggeremo (si fa per dire) una strana ricorrenza: il Testo Unico sull’Immigrazione – la legge che regola l’ingresso e il soggiorno degli stranieri in Italia – compie proprio nel 2023 la veneranda età di venticinque anni. Approvato nel 1998 da una maggioranza di centro-sinistra sotto gli auspici degli allora Ministri Livia Turco e Giorgio Napolitano, riformato in senso restrittivo nel 2002 dalla legge Bossi-Fini, poi oggetto di continue (e caotiche) modifiche, aggiunte, correzioni e integrazioni, il “Testo Unico” è oggi molto diverso da come si presentava in origine: e tuttavia l’impianto complessivo, la filosofia di fondo, l’approccio al tema immigrazione sono rimasti grosso modo quelli di allora.

In compenso, il bilancio di questi venticinque anni è tutt’altro che roseo: oggi, alla vigilia del fatidico compleanno, tutta la gestione delle politiche migratorie è letteralmente al collasso. Sono tornate le file chilometriche di cittadini e cittadine straniere davanti alle Questure (gli uffici di Via Cagni a Milano e di Via Patini a Roma ne sono gli esempi più noti); le procedure amministrative sembrano letteralmente «impantanate», come dimostrano i tempi lunghissimi di rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno (si pensi al caso della regolarizzazione del 2020, le cui pratiche sono ancora in alto mare a quasi tre anni di distanza dall’inizio della procedura). Per non parlare della detenzione amministrativa dei migranti irregolari, un vulnus allo stato di diritto introdotto proprio dalla Turco-Napolitano: oggi, il sistema dei Centri per il Rimpatrio produce solo sofferenze e nuove forme di esclusione, senza peraltro riuscire ad allontanare effettivamente i migranti «indesiderati».

Un ingresso irregolare (quasi) impossibile

Più in generale, l’impianto restrittivo del Testo Unico, e le innumerevoli modifiche che si sono succedute in questi venticinque anni, hanno reso pressoché impossibile l’ingresso legale in Italia, e al contempo hanno impedito ogni forma di regolarizzazione del soggiorno per chi già si trova sul territorio.

Gli ingressi per lavoro sono disciplinati dai “decreti flussi”, che prevedono una procedura tanto farraginosa quanto irrealistica: per poter entrare nel nostro paese, lo straniero dovrebbe stipulare un improbabile contratto di assunzione “a distanza” (firmato cioè prima di entrare in Italia) con un datore di lavoro mai visto né conosciuto; per di più, il datore di lavoro dovrebbe presentare la domanda prima dell’esaurimento delle “quote” annuali (cioè del numero massimo di ingressi consentiti). Tra l’altro, a partire dal 2011 le “quote” sono state progressivamente ridotte, e limitate solo ad alcune mansioni (in particolare ai lavoratori stagionali).

Ma anche gli ingressi per ricongiungimento familiare sono stati fortemente ostacolati da norme e prassi amministrative sempre più vessatorie (benché il ricongiungimento sia sancito come un vero e proprio diritto soggettivo a norma dell’art. 28 del Testo Unico, come hanno chiarito alcune sentenze recenti). Così, uno straniero residente che intenda chiamare in Italia un proprio congiunto ancora all’estero deve presentare un lunghissimo elenco di documenti, tra cui una “certificazione di idoneità dell’alloggio” che è il maggior ostacolo al diritto all’unità familiare dei migranti.

Servono riforme complessive, ma anche interventi urgenti

Oggi sarebbe più che mai urgente una riforma complessiva del diritto dell’immigrazione. E se è vero che al momento, con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, una simile riforma è completamente fuori dai radar, è anche vero che sono sempre più numerose le voci – provenienti tanto dall’opposizione parlamentare quanto dalla società civile organizzata – che chiedono una politica migratoria più giusta, più umana e più realistica. In Parlamento, negli ultimi anni, sono stati presentati alcuni disegni di legge che andrebbero proprio in questa direzione: dalla proposta di iniziativa popolare “Ero Straniero” al ddl del gruppo Sinistra Italiana/Possibile (primo firmatario Andrea Maestri). Sul versante della società civile, vanno ricordate le numerose proposte di modifica della normativa presentate da associazioni, sindacati e forze del volontariato: ultimo in ordine di tempo l’appello dell’Asgi con 11 proposte ai parlamentari eletti alle elezioni politiche del 2022. Un futuro governo, auspicabilmente più attento a questi temi, potrebbe trovare spunti preziosi da questi testi.

Una riforma complessiva del diritto dell’immigrazione, pur necessaria e non più procastinabile, richiederebbe però tempi lunghi di elaborazione, riflessione e dibattito. Nel frattempo potrebbero essere messi in campo alcuni provvedimenti urgenti, che migliorerebbero notevolmente la situazione. Qui di seguito suggerisco otto possibili “mini-riforme”, che potrebbero essere attuate con piccole modifiche alle leggi vigenti, o addirittura a normativa invariata

Primo: modificare in via amministrativa il sistema dei flussi, ampliando le quote disponibili e adeguandole alla richieste

Già oggi, con le leggi in vigore, il meccanismo dei “decreti flussi” potrebbe diventare meno drammatico ed escludente. Si dovrebbero ampliare notevolmente le quote disponibili, adeguandole al fabbisogno, estendendole a tutte le tipologie di lavoro e abolendo il grottesco sistema dei “click day”. Si dovrebbe consentire inoltre la presentazione delle domande in qualunque momento dell’anno, istituendo una sorta di graduatoria permanente «a scorrimento» (quando le quote si esauriscono, si provvede all’emanazione di un nuovo decreto e si prendono tutte le domande rimaste escluse). Una riforma di questo genere potrebbe essere messa in campo a normativa invariata, come propone da tempo Sergio Briguglio.

Secondo: introdurre nei decreti flussi delle quote dedicate alla regolarizzazione di chi è già in Italia, e non solo all’ingresso di chi si trova all’estero

Attualmente le quote sono riservate agli stranieri che si trovano ancora ai loro Paesi di origine. Con una interpretazione estensiva delle norme vigenti sarebbe tuttavia possibile introdurre, nei decreti annuali, delle quote specifiche per stranieri già presenti in Italia, anche in modo irregolare.

Il Testo Unico dice infatti, all’articolo 22, che il datore di lavoro può assumere nell’ambito dei decreti flussi «uno straniero residente all’estero». Ma un immigrato irregolare, proprio in quanto irregolare, è per definizione «residente all’estero»: la residenza – almeno se la intendiamo in senso restrittivo, come sinonimo di iscrizione anagrafica – è infatti vincolata al possesso di un permesso di soggiorno. D’altra parte, sempre il Testo Unico, all’articolo 3, dice che «i visti di ingresso e i permessi di soggiorno per lavoro (…) sono rilasciati entro il limite delle quote»: la norma parla dunque di permessi di soggiorno, e non solo di visti (di solito il permesso di soggiorno è la conseguenza di un precedente visto, ma non è sempre detto che sia così).

L’introduzione di “quote per regolarizzazione” sarebbe possibile anche a normativa invariata, sulla base di una interpretazione estensiva della legge: estensiva ma non illegittima. Tanto che vi è un precedente: il primo decreto flussi della Turco-Napolitano (DPCM 16-10-1998 n. 380) prevedeva proprio delle quote specifiche per gli stranieri presenti irregolarmente sul territorio nazionale. All’epoca il Testo Unico era stato appena approvato, e come abbiamo visto la sua versione originaria era molto diversa da quella odierna: e tuttavia, le disposizioni che abbiamo citato qui sopra non sono mutate da allora. Va segnalato tra l’altro che nel 2006 un appello nazionale dell’associazionismo chiese proprio di varare un decreto flussi «di regolarizzazione».

Terzo: agevolare le procedure di ricongiungimento familiare

Come si diceva, il ricongiungimento familiare è ostacolato da una prassi amministrativa rigida e vessatoria. Occorrebbe perciò ritirare la circolare del Ministero dell’Interno n. 2805 del 31 Luglio 2017, che ha introdotto restrizioni non previste dalla legge (ad esempio, l’obbligo di informare il datore di lavoro tramite il cosiddetto “Modello S3”). Andrebbero poi introdotte due modifiche normative urgenti: l’abrogazione, o almeno la modifica sostanziale, delle disposizioni sull’idoneità alloggiativa, e l’introduzione di un meccanismo di silenzio/assenso nella domanda di visto (in modo da evitare ritardi eccessivi delle Ambasciate italiane).

Quarto: modificare l’articolo 31 del Testo Unico, adeguandolo alla giurisprudenza della Cassazione

L’articolo 31 del Testo Unico attribuisce al Tribunale per i Minorenni la facoltà di regolarizzare i genitori stranieri di un minore,quando ricorrano «gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute» dello stesso minore. Il tenore letterale della norma sembrerebbe far riferimento a circostanze gravi ed eccezionali, come ad esempio una malattia o un prolungato ricovero ospedaliero di un bambino (circostanze che richiederebbero la presenza in Italia dei genitori).

In realtà, con la sentenza n. 1570 del 2019, le Sezioni Unite della Cassazione – ribadendo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato – hanno chiarito che la regolarizzazione ex articolo 31 «non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla salute del fanciullo». E hanno aggiunto che «la portata dell’art. 31, comma 3, non si presta ad essere costretta nei confini angusti dell’emergenza sanitaria o della grave patologia del minore».

Alcuni Tribunali per i Minorenni, però, si attengono ancora a una lettura meramente letterale della norma. Sarebbe quindi opportuno introdurre una modifica all’articolo 31, prevedendo che la regolarizzazione sia disposta dal Tribunale quando ricorrano «motivi connessi con il superiore interesse del minore».

Quinto: introdurre un visto e un permesso di soggiorno per ricerca di lavoro

Il meccanismo dei decreti flussi subordina l’ingresso dello straniero all’assunzione «a distanza» da parte di un datore di lavoro. Si tratta di un sistema del tutto irrealistico, perché di solito le aziende non assumono persone che non hanno mai visto né conosciuto (soprattutto nelle mansioni meno qualificate). Da tempo i movimenti antirazzisti propongono di introdurre un visto di ingresso per «ricerca di lavoro». In questo caso sarebbe necessaria una modifica alla normativa, ma non ci sarebbe da inventare nulla: nel disegno di legge della Campagna Ero Straniero è già prevista l’introduzione di un art. 22 bis del Testo Unico che prevede l’ingresso per ricerca di lavoro.

Sesto: prevedere un’ampia convertibilità dei titoli di soggiorno, e anche la possibilità di trasformare il visto turistico in un permesso per lavoro

L’impossibilità di «convertire» un titolo di soggiorno – cioè di trasformarlo, ad esempio passando da un permesso per protezione speciale a un permesso per lavoro – è uno dei fattori che alimentano l’irregolarità. Un caso tipico riguarda proprio il documento rilasciato ai sensi dell’articolo 31, che per molti anni non è stato “convertibile”. Molte coppie con bambini, beneficiarie dell’autorizzazione al soggiorno concessa dal Tribunale per i Minorenni, hanno avuto la possibilità di lavorare, di inserirsi, di costruire una vita nel nostro paese: poi, però, alla scadenza del permesso di soggiorno, si sono trovate di nuovo irregolari, perché non era possibile effettuare la «conversione», anche in presenza di un contratto di lavoro.

Una delle innovazioni più rilevanti introdotte dal «decreto Lamorgese» del 2020 era proprio la convertibilità di molti permessi di soggiorno, oggi rimessa in discussione dal cosiddetto «decreto Cutro». Occorrerebbe quindi abrogare quest’ultimo, e tornare alle disposizioni della precedente normativa. Andrebbe inoltre prevista una qualche opportunità di conversione dei visti turistici in permessi di soggiorno per lavoro. Infine, anche il permesso di soggiorno per richiesta asilo dovrebbe diventare «convertibile», almeno nei casi di irragionevole durata della procedura di asilo (cioè quando un richiedente è costretto ad aspettare un tempo eccessivo per veder esaminata la sua domanda di protezione).

Ottavo: mantenere la protezione speciale facendo riferimento alle norme internazionali della Cedu

Il decreto Cutro pretende di aver abolito, o comunque fortemente ridimensionato, l’istituto della protezione speciale (ex umanitaria). In particolare, è stata abrogata la norma che garantiva un permesso di soggiorno nei casi in cui «l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare [dello straniero]».

Va però ricordato che la norma abrogata attuava l’articolo 8 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, che è vincolante per l’Italia. La Corte Europea dei Diritti Umani ha da tempo stabilito che «le decisioni prese dagli Stati in materia di immigrazione possono, in alcuni casi, costituire una ingerenza nell’esercizio del diritto al rispetto della vita privata e familiare (…), soprattutto quando gli interessati possiedono, nello Stato di accoglienza, legami personali o familiari sufficientemente forti che rischiano di essere gravemente lesi nel caso in cui venga applicata una misura di allontanamento» (Sentenza sul Ricorso n. 31956/05 – Hamidovic c. Italia, 4 Dicembre 2012, punto 37).

Dal canto suo la Cassazione, con Ordinanza n. 11955 del 2020, ha stabilito – sulla scorta della precedente sentenza della Corte Costituzionale n. 202 del 2013 – che prima di disporre un’espulsione è necessario tener conto «della natura e dell’effettività dei vincoli familiari, della durata del soggiorno, nonchè dell’esistenza di legami con il paese di origine»; si devono dunque considerare tutti gli «elementi qualificanti l’effettività di dette relazioni (rapporto di coniugio, durata del matrimonio, nascita di figli e loro età, convivenza, dipendenza economica dei figli maggiorenni etc) oltre che delle difficoltà, conseguenti all’espulsione, dalle quali possa derivare la definitiva compromissione della relazione affettiva».

Occorre dunque affermare che il decreto Cutro non ha abolito e neppure ridimensionato la protezione speciale, semplicemente perché non poteva farlo. È necessario sollecitare le Questure, le Commissioni e soprattutto la Commissione Nazionale Asilo a una puntuale applicazione delle norme costituzionali e internazionali.

Sergio Bontempelli

N.B.: il testo riprende, in forma ampliata, la relazione al seminario online “Cacciare o Regolarizzare” organizzato da Adif e Transform Italia, 16 Maggio 2023.

Qui il video dell’intervento:

 

Qui il video integrale del seminario: