Johnny, l’eroe rock: da Chuck Berry a Bruce Springsteen

Originariamente pubblicato sul blog personale di Sergio Bontempelli

Chi non conosce Johnny B. Goode di Chuck Berry? Scritta nel 1955, pubblicata nel 1958, questa canzone rappresenta un atto fondativo, quasi un certificato di nascita del rock’n’roll: eseguita e rifatta da innumerevoli musicisti, ha percorso l’intera storia del rock moderno. E se tutti ormai conoscono – anche solo per averlo sentito una volta – il ritmo travolgente di questo pezzo, meno conosciuta è la storia che esso racconta.

Johnny, il protagonista, è un giovane americano qualunque: il nome è uno dei più diffusi negli Stati Uniti, un po’ come dire “il signor Rossi” in Italia. Bene, questo signor Rossi è un ragazzotto di campagna, uno che non sa nè leggere nè scrivere, e che in compenso – come molti americani della sua generazione – suona benissimo la chitarra [a country boy named Johnny B. Goode/ Who never ever learned t read or write so well/ But he could play the guitar just like a ringing a bell]. Anzi, la chitarra la porta sempre con sè, in una borsa di pelle [He used to carry his guitar in a gunny sack]: di tanto in tanto si ferma a riposare sotto un albero, vicino alle rotaie del treno, e comincia a suonare, conquistando lo stupore e l’ammirazione dei passanti. La madre di Johnny – la signora Rossi, per così dire… – profetizza per lui un futuro radioso: «un giorno sarai un uomo, sarai a capo di una grande banda musicale: molta gente verrà da lontano a sentirti suonare […], forse un giorno il tuo nome sarà su un insegna che dice Stasera Johnny B. Goode» [His mother told him, “Someday you will be a man, And you will be the leader of a big old band. Many people coming from miles around To hear you play your music […] Maybe someday your name will be in lights Saying Johnny B. Goode tonight”]. Per il testo della canzone e la traduzione in italiano vedi qui

Chi è dunque Johnny B. Goode, chi è questo “signor Rossi” americano? Per molti aspetti, è l’incarnazione dello stesso Chuck Berry: anche lui un umile “signor Rossi”, tra l’altro nero (in un’America razzista e discriminatoria), capace di scalare le vette del successo musicale. Per altri aspetti, è il giovane adolescente degli anni ’50: ribelle, consapevole, ansioso di emergere. «Oggi può sembrare difficile da comprendere», ha scritto Gino Castaldo, «eppure un tempo [prima dell’esplosione del rock and roll, ndr] non esisteva l’idea del giovane come precisa categoria sociale. O almeno non come figura indipendente, dotata di un suo codice e di un suo mondo di riferimenti esclusivi. Prima era solo un uomo immaturo, un piccolo adulto in un periodo di addestramento alla vita, in procinto di entrare nella società. L’idea del giovane come figura autonoma ha una precisa origine. E’ l’effetto di un poderoso mutamento economico e sociale che avviene in America a partire dalla fine degli anni ’40 ed esplode tra il 1954 e il 1955, abbassando considerevolmente l’età del potenziale consumatore [musicale]» [G. Castaldo, La Terra Promessa. Quarant’anni di cultura rock (1954-1994), Feltrinelli, Milano 1995, pag. 50]. Il rock and roll è, appunto, il primo genere musicale che si rivolge al giovane adolescente come soggetto autonomo: e il signor Rossi/Johnny è il suo principale destinatario.

Johnny è anche – e forse soprattutto – l’incarnazione del mito americano, dell’american way of life: l’idea per cui il riscatto, il successo e la fortuna possono arridere a chiunque, anche a un tizio qualsiasi figlio di nessuno.

Come osserva Castaldo, Johnny diventa, nella storia del rock, un vero e proprio personaggio, ben al di là della creazione di Chuck Berry: è stato infatti «ripreso innumerevoli volte, diventando uno dei maggiori classici del rock […] al punto da risorgere in continuazione in tantissimi esempi successivi, che si rifanno più o meno direttamente all’originale: dal Johnny della dylaniana Subterranean homesick blues, alle diverse mutazioni in chiave reggae, prima tra tutte quella di Johnny too bad, a sua volta un classico che vanta innumerevoli versioni» [Castaldo, cit., pag. 66].

Una delle ultime versioni/mutazioni del “signor Rossi” è il Johnny 99 di Springsteen: anche lui un tizio qualsiasi, figlio di nessuno, proveniente dalle classi meno abbienti e dal mondo del lavoro. In Springsteen, però, il sogno americano – quello del ragazzo povero che può diventare ricco e famoso – si trasforma in un incubo: perchè Johnny può, certo, diventare ricco e famoso, ma può anche non diventarlo. Specie se le condizioni sociali in cui è costretto a vivere glielo impediscono: «hanno chiuso la fabbrica di automobili in Mahwah gli ultimi di questo mese/ Ralph si mise in cerca di un lavoro ma non ne trovò neanche uno/ arrivò a casa troppo ubriaco per aver mischiato Tanqueray e vino/ ha tirato un colpo di pistola ad un portiere di notte e ora lo chiamano Johnny 99» [Well they closed down the auto plant in Mahwah late that month/ Ralph went out lookin’ for a job but he couldn’t find none/ He came home too drunk from mixin’ Tanqueray and wine/ He got a gun shot a night clerk now they call ‘m Johnny 99].

Così, il protagonista della vicenda si ritrova di fronte al giudice, che la canzone definisce mean (cattivo, malvagio), mentre l’uso dell’aggettivo poor (povero) è riservato all’omicida (un’inversione di termini che farebbe incazzare, in Italia, tanto Veltroni quanto Berlusconi: dove la mettiamo l’emergenza sicurezza?). E l’arringa di Johnny è un atto di accusa contro la società americana:

«Signor Giudice avevo debiti che nessun uomo onesto può pagare
La banca teneva stretta la mia ipoteca
e loro si stavano portando via la mia casa
Ora non sto dicendo che questo faccia di me un innocente
Ma è stato tutto questo a mettere quella pistola in mano mia
Quindi, Vostro Onore, credo che sarebbe meglio uccidermi […]
Allora, non volete sedervi nuovamente su quella sedia
e pensarci sopra un’altra volta, Giudice,
E lasciare che mi rasino a zero i capelli e che mi mettano sulla sedia?»

[Now judge I got debts no honest man could pay/ The bank was holdin’ my mortgage and they was takin’ my house away/ Now I ain’t sayin’ that makes me an innocent man/ But it was more ‘n all this that put that gun in my hand/ Well your honor I do believe I’d be better off dead/ […] Then won’t you sit back in that chair and think it over judge one more time/ And let ‘em shave off my hair and put me on that execution line]

Il soprannome 99 si deve agli anni di prigione – novantanove, appunto – cui Ralph/Johnny viene condannato per il suo delitto. L’ottimistico american dream di Chuck Berry si trasforma dunque, in Springsteen, in un drammatico atto di accusa contro le esclusioni, discriminazioni e disperazioni indotte dalla società americana. E, come scrive ancora Castaldo, «questi Johnny […] sono comunque eroi delle classi meno abbienti: il primigenio Johnny è in un certo senso il primo working class hero di cui si avrà piena coscienza solo alcuni anni dopo» [Castaldo, cit., pag. 67].

Per concludere, ecco Springsteen e Berry insieme, in un’esecuzione dal vivo di Johnny Be Goode: