Migranti, accoglienza nel caos: ecco cosa sta succedendo

Originariamente pubblicato in «La Città Invisibile», periodico online a cura di «perUnaltracittà, laboratorio politico di Firenze», 5 Settembre 2023

La «questione migranti» torna ad occupare le prime pagine dei giornali e le homepage dei siti di news, con gli arrivi via mare descritti come un fenomeno «fuori controllo». Secondo il Cruscotto statistico giornaliero del Ministero dell’Interno, alla data del 1 Settembre erano sbarcati sulle coste del nostro Paese circa 115mila migranti, quasi il doppio rispetto alla stessa data dello scorso anno (59mila persone), e quasi il triplo rispetto al medesimo periodo del 2021 (40mila persone).

Intanto la macchina dell’accoglienza, messa sotto pressione da questi sbarchi «inattesi» (o presunti tali), è andata nel caos. Per rendersene conto basta guardare a quel che sta accadendo nella nostra regione: a Firenze la Prefettura, nel tentativo disperato di reperire dei posti dove ospitare i nuovi arrivati, ha balenato l’ipotesi di utilizzare le palestre delle scuole cittadine; a Vicchio, nel Mugello, i migranti sono stati sistemati temporaneamente nelle tende, quasi fossero vittime di un terremoto o di una catastrofe improvvisa; a Pisa, sempre in un clima di emergenza, si è pensato di ammassare i minori non accompagnati in una struttura ben nascosta all’interno del Parco di San Rossore (lo ha denunciato pochi giorni fa la lista di sinistra sociale «Una Città in Comune»). Un po’ ovunque, in Toscana e non solo, si cercano soluzioni temporanee a un problema che sembra aver colto di sorpresa le istituzioni: in alcune città si sta pensando addirittura di allestire delle tensostrutture.

Esiste davvero una «emergenza»?

In questo clima di allarme, è bene chiarire subito una cosa: dal punto di vista dei numeri, non esiste nessuna «emergenza migranti». In primo luogo perché, se è vero che sono aumentati gli arrivi via mare, è anche vero che ciò avviene in un contesto complessivo di stabilizzazione dei fenomeni migratori: se si considera l’immigrazione nel suo complesso – se cioè si guarda non solo ai cosiddetti «sbarchi», ma anche ai flussi di lavoratori provenienti dall’Est Europa, dall’Asia o dall’America Latina, agli arrivi di studenti dall’estero, ai ricongiungimenti familiari, alle migrazioni stagionali o a quelle di lavoratori qualificati – si scopre che la presenza straniera nel nostro Paese è ormai stabile da diversi anni.

In secondo luogo, perché anche i nuovi arrivi via mare erano ampiamente prevedibili: così prevedibili che erano stati previsti. Ecco cosa si leggeva, ad esempio, in una pubblicazione del Parlamento italiano uscita alla fine del 2022. «Le dinamiche migratorie di oggi dipendono (…) da sviluppi politici, economici e demografici che riguardano vaste regioni dell’Africa e dell’Asia. In alcuni casi, conflitti armati e cambiamenti climatici stanno contribuendo al movimento di profughi e i numeri sembrano destinati ad aumentare (…). Nei mesi scorsi, per esempio, la Tunisia ha superato la Libia per il numero settimanale di sbarchi in Italia. L’Algeria sta diventando un altro importante paese di transito» [Senato della Repubblica – Camera dei Deputati – Ministero degli Affari Esteri, Osservatorio di Politica Internazionale, Libia: recenti sviluppi e prospettive, Roma 2022, pag. 13].

Nel Marzo di quest’anno persino la premier Giorgia Meloni, commentando la crisi politica in Tunisia, aveva evocato – con i suoi consueti toni apocalittici – il rischio di «un’ondata migratoria senza precedenti» dal piccolo Paese nordafricano. Insomma, che in Estate si sarebbero intensificati gli arrivi di migranti via mare lo sapevano tutti, ma proprio tutti: lo sapevano gli studiosi più attenti, lo sapevano i commentatori dei giornali «mainstream» (Il Messaggero, per fare un esempio, ne aveva parlato già alla fine di Marzo), lo sapevano i ministri e le ministre del governo attualmente in carica.

E cosa ha fatto l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, per attrezzarsi a gestire questo prevedibilissimo incremento degli arrivi? Si potrebbe dire che non ha fatto nulla, ma sarebbe una risposta inesatta. In realtà il governo ha fatto molte cose: il problema è che queste «cose» sono tutte sbagliate, fallimentari, destinate a creare un problema dove il problema non c’era. Vediamo meglio.

L’accoglienza in Italia

Per capire di cosa stiamo parlando, bisogna sapere che in Italia esistono due distinti «sistemi di accoglienza», cioè due diverse reti di strutture e centri destinati ad ospitare i migranti, a fornir loro un posto letto e alcuni servizi essenziali.

Il primo è il cosiddetto «Sai» (acronimo di Sistema di Accoglienza e Integrazione), ed è l’insieme dei centri gestiti dai Comuni, sotto il coordinamento dell’Anci e del Ministero dell’Interno: è il sistema più «antico» ed è anche quello meglio attrezzato, nel senso che non si limita alla semplice «ospitalità» (vitto e alloggio), ma prevede percorsi di inserimento sociale, di avviamento al lavoro e di progressiva autonomizzazione delle persone accolte.

Il secondo, il sistema «Cas» (Centri di Accoglienza Straordinaria), è l’insieme dei «centri» gestiti dalle Prefetture. I Cas erano nati negli anni immediatamente successivi alle Primavere arabe del 2011, in una stagione «straordinaria» di sbarchi, quando le strutture Sai (che all’epoca si chiamavano «Sprar») erano piene e non potevano far fronte all’emergenza. In origine dovevano essere strutture temporanee, e per questo i servizi che offrivano ai loro ospiti erano più scarni, di solito limitati al vitto, all’alloggio e ai corsi di italiano. Poi, come spesso accade nel nostro Paese, quello che doveva essere un sistema temporaneo è diventato definitivo, e oggi gran parte dei migranti sono accolti proprio nei Cas, e non nei Sai.

La (dis)organizzazione dell’accoglienza

Il Governo, si diceva, ha inanellato una serie di azioni fallimentari, per non dire disastrose. In primo luogo, con il famigerato «Decreto Cutro» del 10 Marzo scorso, ha vietato alle persone appena sbarcate in Italia l’accesso al sistema Sai: con le nuove norme, infatti, possono entrare in un centro Sai soltanto gli stranieri che si sono visti riconoscere la loro domanda di asilo; chi è ancora in attesa della decisione delle autorità competenti può entrare solo in un Cas. Una mossa non proprio astuta, perché quando – in piena Estate – si sono moltiplicati gli sbarchi, in molte città si è verificato il paradosso di strutture Cas piene fino all’inverosimile e di centri Sai dove invece erano ancora disponibili dei posti: posti che però non potevano essere occupati dai richiedenti asilo appena giunti nel nostro Paese…

La seconda «mossa» disastrosa risale a qualche anno addietro, quando l’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini decise di ridurre i costi di gestione dei Cas: dopo le polemiche pretestuose contro i presunti 35 euro al giorno «regalati» ai migranti (cifra che in realtà andava quasi interamente agli enti gestori dei centri di accoglienza), Salvini decise di tagliare drasticamente le spese a carico dello Stato.

Così, nelle gare di appalto indette dalle Prefetture (quelle che servono per selezionare le associazioni o le cooperative più idonee a gestire un centro Cas), la quota giornaliera erogata dagli enti pubblici è passata dai famosi 35 euro a circa 21 euro a persona. Con una cifra così bassa, molte cooperative si sono trovate nell’impossibilità di garantire servizi dignitosi, e di pagare il loro stesso personale. La conseguenza, largamente prevedibile, è che i bandi di gara per i Cas sono andati deserti, e molti centri di accoglienza che dovevano aprire non hanno mai aperto. Questa situazione si è aggravata proprio negli ultimi mesi, quando ci sarebbe stato più bisogno di posti liberi.

La terza «mossa» disastrosa è stata ancora una volta partorita dal «decreto Cutro»: invece di rafforzare il sistema di accoglienza nel suo complesso, il decreto puntava ad accelerare le espulsioni e gli allontanamenti dall’Italia. E infatti le risorse erano tutte dirottate nei Centri per il Rimpatrio o CPR, negli «hotspot» e nelle strutture di frontiera. Ora, a prescindere da considerazioni etiche o giuridico-costituzionali (è illegittimo rinviare ai loro Paesi di origine persone che fuggono da guerre e persecuzioni), l’idea di puntare tutto sui rimpatri era del tutto inadeguata in una situazione come quella attuale: le aree di provenienza o di transito dei migranti – Libia e Tunisia in primis – sono caratterizzate da una forte instabilità politica e da conflitti interni spesso sanguinosi. È perciò difficile pensare che i governi di quelle zone (che tra l’altro sono governi autoritari e liberticidi) possano garantire la riammissione dei migranti allontanati dall’Italia.

Sono queste scelte disastrose ad aver prodotto il collasso attuale del sistema di accoglienza: un collasso che non è dovuto al fenomeno migratorio in quanto tale, ma al modo in cui è stato ed è governato. Non c’è nessuna emergenza migranti, insomma: semmai, siamo di fronte all’emergenza governo.

Sergio Bontempelli