Diritti dei migranti e antirazzismo

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Perché non è vero che in Italia un terzo dei reati è “straniero”

Originariamente pubblicato su Corriere delle Migrazioni – Africa

No, l’Italia non è un paese «sempre più insicuro», come vorrebbero farci credere tanti commentatori: le statistiche dicono il contrario: i reati sono in costante calo da almeno dieci anni. È quanto ha spiegato il Capo della Polizia Franco Gabrielli, intervenendo al Festival delle Città tenutosi a Roma nei giorni scorsi (qui il video del suo intervento). Ma Gabrielli ha aggiunto una precisazione importante, destinata a scatenare accese polemiche: se è vero che i reati nel loro insieme diminuiscono, gli stranieri sembrano avere un ruolo crescente nelle dinamiche criminali. E dunque, come di consueto, il dibatito sull’insicurezza rimanda al tema dell’immigrazione.
I dati sembrerebbero in effetti inequivoci: «Nel 2016», dice Gabrielli, «su 893mila persone denunciate ed arrestate, il 29,2% erano stranieri; nel 2017 gli stranieri sono aumentati al 29,8%; nel 2018 sono arrivati al 32%».
Il Capo della Polizia è attento a misurare le parole, e cita dati difficilmente contestabili: tra le persone «denunciate e arrestate» la percentuale di stranieri è in aumento. Ma questo non giustifca affatto i titoli dei giornali: «Calo dei reati, uno su tre commesso da stranieri» (Il Messaggero), «Meno reati, ma sempre più stranieri a commetterli» (Corriere della Sera) «I dati non mentono, straniero un reato su tre» (Il Giornale).

Attenzione: Gabrielli non ha detto che un reato su tre è commesso da stranieri. Ha solo spiegato che un denunciato su tre è straniero. Sono due cose molto diverse. Sembra una sottigliezza, e invece la differenza è davvero enorme: cerchiamo di spiegarla con un esempio.
Esco di casa al mattino, e incontro un mio vecchio conoscente, che chiamerò per comodità Filippo. Il vecchio conoscente  è ritiene di avere un conto in sospeso con me per questioni di lavoro, e quando mi vede passare mi aggredisce con un pugno. Tramortito, col naso sanguinante, torno a casa, e trovo che il mio appartamento è stato svaligiato (si vede che è la mia giornata sfortunata…). A questo punto devo andare dai carabinieri per sporgere due distinte denunce: la prima sarà completa di nome e cognome dell’aggressore; la seconda, quella relativa al furto in appartamento, sarà presentata «contro ignoti», perché ovviamente non ho idea di chi abbia preso la simpatica iniziativa di rubare a casa mia.
Le statistiche criminali – quelle che ci dicono che i reati sono in calo – sono costruite proprio sulle denunce, e le denunce si possono presentare contro un «autore noto» o contro «ignoti».
E proprio qui sta il punto: per motivi facilmente intuibili, la maggior parte dei «reati» registrati
nelle statistiche (cioè delle denunce presentate all’Autorità Giudiziaria) si riferisce
ad autore ignoto: ce lo dice il sito dell’Istat, nella sezione «Giustizia penale – Delitti denunciati dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria». Più dell’80% dei crimini sono commessi da ignoti, e la percentuale sale molto nel caso dei reati che – con un’espressione un po’ balorda, che non ha nulla di scientifco – vengono definiti «di forte allarme sociale»: furti (più del 95%), borseggi (97%), scippi (93%), furti di auto e ciclomotori (più del 97%), solo per fare qualche esempio.
Quando Gabrielli dice che «un denunciato su tre è straniero», parla evidentemente dei reati ad autore noto. Facciamo l’esempio del furto: nel 95% dei casi vengono presentate denunce contro ignoti, e di questa quota così ampia non possiamo sapere quanti sono gli italiani e quanti i non italiani. Nel restante 5% si fa nome e cognome del ladro, e in un terzo dei casi il ladro è straniero: signifca, se la matematica non è un’opinione, che gli stranieri sono «autori» dell’1,66% dei reati complessivi. Chi dice che «un terzo dei reati è commesso da stranieri» suppone arbitrariamente che quel 5% sia un «campione rappresentativo» del restante 95%, ma non c’è alcuna prova che le cose stiano davvero così.
Tutto questo signifca che non possiamo conoscere a priori l’effetiva percentuale di stranieri sul totale dei reati commessi: è un numero che rimane oscuro, e che presumibilmente resterà tale anche in futuro.
Sappiamo con certezza però che l’immigrazione è molto cresciuta negli ultimi trent’anni, e che nello stesso periodo di tempo non si è registrato un aumento della criminalità. È un buon indizio del fatto che l’immigrazione non contribuisce all’aumento dei reati: ma attenzione, è solo un indizio, non una prova statistica.

Sergio Bontempelli

L’Italia meticcia

Originariamente pubblicato sul sito di Adif-Associazione Diritti e Frontiere

Un paese con sempre meno “immigrati”, e sempre più “minoranze etniche” discriminate ed escluse. È la fotografia che propone l’annuale Dossier Immigrazione

Da ormai un quarto di secolo l’équipe del Dossier Statistico Immigrazione (prima facente capo alla Caritas Italiana e alla Fondazione Migrantes, oggi pubblicazione autonoma dell’IDOS) ci propone ogni anno un panorama aggiornato su cifre, numeri e dati relativi all’immigrazione in Italia. Non è sempre facile districarsi nella mole di informazioni e tabelle proposte dal Dossier: ma, a saperla leggere con cura, l’edizione 2015 riserva numerose sorprese.

La prima balza agli occhi già dalle pagine iniziali del volume: per la prima volta in venticinque anni, la presenza straniera non cresce in modo impetuoso, ma rimane sostanzialmente stabile. I residenti non italiani aumentano infatti di circa 90.000 unità, e passano dall’8,1% all’8,2% della popolazione complessiva [Dossier 2015, pag. 8]. Giusto per fare un paragone, la presenza straniera era cresciuta di quasi mezzo milione di unità tra il 2006 e il 2007, mentre l’anno successivo si registrò un incremento di 458mila nuovi arrivi: in due anni, gli stranieri residenti erano passati dal 5% al 6,5% della popolazione totale [cfr. Caritas/Migrantes, Immigrazione. Dossier Statistico 2009. XIX Rapporto, Idos, Roma 2009, pag. 13].

Flussi migratori e “sbarchi”

Questo dato fa a pugni con quel che vediamo e leggiamo ogni giorno alla televisione, sui giornali o nei siti internet di informazione. Stando a quel che ci viene raccontato, infatti, siamo quasi quotidianamente invasi da richiedenti asilo, profughi e rifugiati, che sbarcano sulle coste meridionali del nostro paese a un ritmo sempre più sostenuto. Com’è possibile dunque che l’immigrazione registrata dal dossier IDOS sia stabile?

Il fatto è che i cosiddetti “sbarchi” sono solo una parte di un fenomeno assai più complesso e variegato. È vero che negli ultimi anni gli arrivi via mare sono vertiginosamente aumentati, fino a raggiungere la cifra record di 170mila nel 2014. È però altrettanto vero che, accanto all’incremento dei flussi di profughi, si è registrata una significativa contrazione delle migrazioni economiche “classiche”. Per dirla in modo semplice: arrivano sempre più imbarcazioni in Sicilia, ma alla Stazione Tiburtina di Roma sono sempre meno gli autobus carichi di lavoratori rumeni, albanesi o ucraini…

La cosa risulta evidente se raffrontiamo i dati sugli sbarchi – raccolti dalla Polizia di Stato – con quelli relativi alle migrazioni anagrafiche registrate dai Comuni. Nella tabella qui sotto, il risultato è chiaro:

 

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Immigrati a chi?

La seconda sorpresa rintracciabile nel Dossier riguarda – per così dire – lo stesso oggetto della ricerca. Il volume curato dall’Idos indaga infatti il fenomeno dell’immigrazione: eppure, la presenza straniera censita e scandagliata nelle 439 pagine del testo non è sempre riconducibile ai fenomeni migratori, cioè alla mobilità internazionale delle persone. Vediamo perché.

Dei 5 milioni di cittadini stranieri presenti al 31 Dicembre 2014, circa 7-800mila – un settimo del totale – sono di seconda generazione, cioè sono nati e cresciuti in Italia [Dossier 2015, pag. 213]. Ora, chi è nato qui, sia pure da genitori stranieri, non è tecnicamente mai stato un immigrato, nel senso che non si è mai mosso: a meno che non si voglia definire come immigrazione il passaggio dal grembo della madre al mondo esterno, nel qual caso dovremmo definirci tutti come migranti…

Non basta. Il Dossier ci spiega che, tra gli stranieri non appartenenti all’Unione Europea, il 54% ha in tasca un permesso di soggiorno per lungo soggiornanti, che viene rilasciato in presenza di requisiti molto precisi, tra i quali un’anzianità di soggiorno di almeno cinque anni. Ovviamente, vi sono molti stranieri – la cifra esatta è impossibile da determinare – che risiedono in Italia da più di un quinquennio, ma che per vari motivi non sono riusciti a ottenere il permesso lungosoggiornanti. Dunque, possiamo dire che gran parte dei non comunitari vive nel nostro paese ormai da moltissimi anni (da un lustro, o più).

Purtroppo non abbiamo il dato relativo ai cittadini dell’Unione Europea. Ma sappiamo che la stragrande maggioranza dei migranti UE proviene dalla Romania, e i flussi migratori da quel paese hanno avuto il loro boom attorno alla metà degli anni Duemila: è dunque ragionevole supporre che un buon numero di cittadini comunitari sia anch’esso residente in Italia ormai da moltissimi anni.

Ora, è corretto definire “immigrato” un signore che abita in Italia da cinque, dieci, o addirittura quindici anni, che magari ha messo su famiglia, ha fatto figli ed è perfettamente inserito nel tessuto sociale, tanto da essere divenuto stanziale? Se non concepiamo la qualifica di “migrante” come una specie di condanna a vita, dobbiamo riconoscere che si tratta in questo caso di “ex-immigrati”.

Ci sono troppi stranieri in Italia…

Parafrasando l’amico Enrico Pugliese, potremmo dire che ci sono troppi stranieri nel nostro paese. Non nel senso che piacerebbe a Salvini, ovviamente: il fatto è che troppe persone, ormai stabilmente inserite in Italia, o addirittura nate e cresciute qui, sono ancora classificate come “straniere”. Se avessimo una legge sulla cittadinanza degna di questo nome, una parte consistente dei cinque milioni di cosiddetti “immigrati” sparirebbe, e verrebbe inserita tra i cittadini italiani.

E qui viene un punto su cui sarebbe necessario cominciare a riflettere: l’Italia è sempre meno un paese di immigrazione, e sempre più una terra di minoranze “stranierizzate”, cioè etichettate e definite come “altre” e “diverse”. I lavoratori marocchini, rumeni o albanesi, spesso residenti nel nostro paese da tempo immemorabile, continuano a essere percepiti, e trattati, come “gente venuta da fuori”, dunque come degli intrusi, o almeno come “ospiti” tenuti a dimostrare la legittimità della loro permanenza.

Questa percezione collettiva ha effetti devastanti, perché anche a livello amministrativo gli “ex-immigrati” sono oggetto di trattamenti differenziali o di vere e proprie discriminazioni, come ci aveva raccontato qualche anno fa un bel libro di Chiara Saraceno, Nicola Sartor e Giuseppe Sciortino.

È insomma un’Italia sempre meno “straniera”, e sempre più “meticcia”, quella che ci descrive il rapporto IDOS di quest’anno. Un’Italia meticcia che però continua a pensarsi come etnicamente omogenea, secondo un modello di “purezza” tanto immaginario quanto devastante sul piano degli effetti sociali.

Sergio Bontempelli

Se la matematica è un’opinione

Originariamente pubblicato su Corriere delle Migrazioni

La statistica, si sa, gode di un diffuso prestigio: i sociologi e gli studiosi che «danno i numeri» – quelli che forniscono dati, che srotolano slides piene di cifre e tabelle – hanno l’aura di moderni «sacerdoti del sapere», custodi di una scienza preziosa ed esoterica.

Eppure – almeno quando si parla di immigrazione – la matematica non ci restituisce mai una fotografia esatta della realtà. Ci dà delle indicazioni preziose, certo: ma, se non sappiamo «leggerla» con la dovuta cautela, rischiamo di prendere grosse cantonate.

Quanti immigrati arrivano in Italia
Quanti immigrati arrivano ogni anno nel nostro paese? Sembrerebbe una domanda banalissima, invece la faccenda non è così semplice. Ci sono le statistiche sugli sbarchi, d’accordo: si sa che le coste del Sud Italia sono costantemente monitorate e si può supporre che le cifre fornite dal Ministero dell’Interno siano ragionevolmente attendibili. Il punto è che non tutti i migranti arrivano via mare. Anzi: quelli che attraversano il Mediterraneo sono solo una minoranza.

Sì, avete capito bene: gli immigrati, nella maggior parte dei casi, non arrivano a bordo dei famosi «barconi». E questo, gli «esperti» – sociologi e demografi – lo sanno benissimo. Di solito, le frontiere più «battute» sono quelle terrestri: si arriva con l’autobus, sbarcando alla stazione Tiburtina di Roma, oppure in treno, muniti di regolare visto di ingresso. Per quanto possa sembrare incredibile, sono questi i modi in cui gli immigrati entrano più frequentemente in Italia.
Il punto è che, se le statistiche sugli sbarchi sono mediamente affidabili, quelle sugli ingressi «via terra» – diciamo così – sono disseminate di trappole. E si rischia, davvero, di fare errori clamorosi.

Appena arrivati o «sanati»?
Già, perché molti cittadini stranieri arrivano in autobus o in treno, ma da irregolari. Oppure – caso ancora più frequente – entrano con un visto turistico, che però non consente di rimanere in Italia con un contratto di lavoro: così, alla scadenza del visto, restano qui, ma senza permesso di soggiorno. Detto in due parole, si entra da irregolari, o lo si diventa dopo un breve periodo: e dunque non si viene registrati in nessun archivio.
Poi, all’improvviso, arriva una sanatoria, una regolarizzazione, una legge che consente di ottenere i documenti. E allora chi vive già in Italia fa domanda, prende il sospirato pezzo di carta, e finalmente viene registrato nelle statistiche.

È qui che il lettore inesperto rischia di essere ingannato: perché le presenze degli immigrati aumentano vertiginosamente in un breve periodo di tempo. Si ha l’impressione di essere «invasi» da flussi improvvisi e imprevedibili: in realtà, si tratta di persone che vivevano già da tempo nel nostro paese, e che si sono semplicemente (e improvvisamente) «regolarizzate».

Chi arriva, chi se ne va…
È per questo che le statistiche sui flussi migratori andrebbero prese con molta cautela. Secondo l’OCSE e l’ISTAT, per esempio, già da qualche anno gli arrivi sono diminuiti a causa della crisi economica: o, per meglio dire, sono aumentati gli «sbarchi» di richiedenti asilo e rifugiati – che non scelgono di emigrare, ma sono costretti a farlo da guerre e persecuzioni – e si sono ridotte le migrazioni economiche, quelle di chi viene per trovare un lavoro. La cosa – intendiamoci – è assolutamente plausibile: da che mondo è mondo, le crisi provocano drastiche contrazioni della mobilità internazionale.

Il punto è che è difficile avere dati statistici sicuri e affidabili in materia. Se si prendono le rilevazioni anagrafiche degli stranieri residenti, ad esempio, si scopre che il saldo migratorio – cioè la differenza tra coloro che arrivano in Italia e coloro che se ne vanno – è drasticamente diminuito negli ultimi anni: nel 2007, si parlava di un attivo di 494.885 unità [dati ISTAT, tavola 2], mentre nel 2014 la cifra è scesa +207 mila [Indicatori demografici ISTAT, Febbraio 2015, pag. 7].

Quando ho presentato questi dati sulla mia pagina Facebook, l’amico Sergio Briguglio – che di queste cose se ne intende – mi ha fatto notare che tra il 2006 e il 2007 c’erano stati ben due «decreti flussi», con cui molti irregolari avevano ottenuto un permesso di soggiorno. E quindi è difficile capire se il dato del 2007 si riferisca a persone appena arrivate in Italia, oppure a migranti «regolarizzati».

All’inverso, chi conosce da vicino il mondo dell’immigrazione sa che molti stranieri perdono il lavoro e tornano ai loro paesi, ma fanno di tutto per conservare il permesso di soggiorno e la residenza: non si sa mai, magari la crisi finisce, e se hai un documento in tasca puoi rientrare in Italia per trovare un nuovo impiego ben pagato. Insomma, c’è un sacco di gente che se ne va, ma nelle statistiche risulta ancora presente nel nostro paese…

Un’epidemia di assunzioni…
Peraltro, le «trappole» non riguardano solo i flussi migratori, cioè chi entra e chi esce dall’Italia: molti equivoci investono anche il lavoro dei migranti. Ad esempio, sapevate che il 10 Giugno 2002 più di 700mila famiglie hanno assunto domestici, domestiche e assistenti familiari straniere (le cosiddette “badanti”)? E che il 9 Maggio 2012 è successa più o meno la stessa cosa, cioè una specie di epidemia in cui ben 135mila datori di lavoro hanno assunto – tutti insieme, lo stesso giorno – altrettanti lavoratori stranieri?

Perché proprio il 10 Giugno 2002, e il 9 Maggio 2012? Come è potuto accadere che centinaia di migliaia di datori di lavoro abbiano fatto tutti la stessa cosa, nella medesima giornata? La risposta è abbastanza semplice: in entrambi i casi era iniziata una regolarizzazione. Potevano ottenere un permesso di soggiorno solo i lavoratori stranieri assunti almeno tre mesi prima dell’entrata in vigore della relativa legge: cioè, rispettivamente, il 10 Giugno 2002 e il 9 Maggio 2012. Per l’appunto.

Nessuna epidemia, dunque. E nessuna assunzione in massa di lavoratori irregolari. In molti casi, quei lavoratori erano stati assunti prima delle fatidiche date. Oppure non erano stati mai davvero presi a lavorare: semplicemente, bisognava presentare una domanda di sanatoria, e dichiarare di aver impiegato un lavoratore a partire da un giorno preciso…

Poi ci sono le statistiche sulle partite IVA degli immigrati, o sui lavoratori domestici stranieri: ne abbiamo già parlato su questo giornale. Sembra che gli stranieri siano diventati tutti imprenditori, o tutti domestici. E invece si tratta di escamotage per rinnovare il permesso di soggiorno: uno ha perso il lavoro, e per questo rischia di diventare irregolare. E allora apre una partita IVA, o trova una famiglia che lo assume «per finta», diciamo così.

Statistiche criminali (in tutti i sensi…)
Ma le «cantonate» più grosse si prendono con le statistiche criminali, quelle che registrano i reati. Sono in molti a chiedersi se i migranti «delinquano» di più rispetto agli italiani. Come si fa a scoprirlo? Semplice: gli archivi di polizia registrano tutte le denunce presentate in un determinato arco di tempo. Basta accedere a quegli archivi, e verificare se i denunciati stranieri sono di più, o di meno, rispetto agli italiani.

Già. E tuttavia, la faccenda non è così «liscia». In primo luogo perché – lo abbiamo detto – gli archivi di polizia registrano le denunce: ma non tutte le denunce portano alla condanna e, all’inverso, non tutti i reati vengono effettivamente denunciati.

Ma non c’è solo questo. Il problema più grosso – dicono gli esperti – sta nella differenza tra reati ad autore noto e quelli ad autore ignoto. Facciamo un esempio per capirci: torno a casa, e scopro che qualcuno mi ha svaligiato l’appartamento mentre ero assente. Ovviamente corro dai carabinieri a segnalare la cosa: però non ho idea di chi possa essere il ladro, e dunque sporgo una denuncia «contro ignoti», come si dice.

Ecco, giusto per dare un dato emblematico: le denunce «contro ignoti» per il reato di furto sono più del 95% del totale [vedi fascicolo ISTAT con dati 2012, pag. 7]. Questo significa che i calcoli sui denunciati stranieri, in rapporto agli italiani, sono fatti prendendo in considerazione il 5% dei reati. Per spiegarci ancora meglio: se mi dicono che un furto su due è compiuto da cittadini stranieri, vuol dire che i migranti sono «colpevoli» del 2,5% dei furti totali. Un po’ poco, no?

Tutto questo cosa significa? Che le statistiche sull’immigrazione sono false e ingannevoli? Che raccontano solo bugie? No di certo. Al contrario, sono uno strumento prezioso per capire i fenomeni. Solo che vanno prese con la dovuta cautela: perché hanno i loro limiti, e non sono un vangelo. Tutto qui.

Sergio Bontempelli, 6 Aprile 2015

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