Sergio Bontempelli, Giuseppe Faso e Marina Veronesi. Articolo originariamente pubblicato su Cronache di Ordinario Razzismo, 1 Ottobre 2024
Da un vocabolo di origine probabilmente orientale, attraverso il greco angarèia, il tardolatino forma il sostantivo angaria e il verbo angariare. Il passaggio dalla «a» alla «e» porta al nostro angheria, attestato la prima volta in Gerolamo Savonarola. Il termine evoca sgherri (che invece è parola longobarda, da cui anche scherani), prepotenze, oppressioni accompagnate dal sarcasmo dei violenti, protetti e spalleggiati dal potere. In origine indicava il messo del re di Persia incaricato di requisire beni e imporre tasse, ma poi le violenze dei malfattori e delle autorità locali, coperte dal potere sovrano, hanno operato un parziale slittamento semantico, conferendogli una forte connotazione negativa.
Il provvedimento del governo di destra, per il quale chi non ha un permesso di soggiorno non potrà acquistare una sim telefonica, è un esempio tipico di angheria: con questa norma, infatti, si proclama ai quattro venti che gli stranieri irregolari, ma anche i profughi e i richiedenti asilo appena arrivati in Italia (che proprio in quanto appena arrivati non hanno ancora i documenti di soggiorno), non potranno più ascoltare la voce dei loro familiari rimasti nei Paesi di origine; né potranno telefonare a un avvocato se avranno bisogno di tutela legale, al Pronto Soccorso se si sentiranno male, o agli amici e parenti in Italia se vorranno riunirsi ai loro affetti.
Il messaggio è chiaro: siete sgraditi, dovete andarvene di qui, e se non ve ne andate subirete vessazioni, prepotenze, angherie (per l’appunto) che vi convinceranno a levarvi dai piedi. È un messaggio che ha il sapore di una minaccia, e una minaccia espressa in un linguaggio che rifiuta il confronto, si attesta sul proprio gesto senza valutarne le ricadute e le implicazioni, pago del suo significato. Non si capisce altrimenti quale beneficio potrebbe trarre la collettività da una disposizione del genere. Alla Camera, il deputato Riccardo Magi di +Europa ha chiesto al governo quale scopo avrebbe la norma. Il governo non ha risposto, perché in realtà non c’è nessuno scopo comprensibile e ragionevole: si tratta di un semplice messaggio intimidatorio.
Insistiamo sul messaggio, perché qui il fattore comunicativo sopravanza in modo evidente quello strettamente giuridico. Dal punto di vista degli effetti concreti, infatti, la norma potrebbe non essere così devastante come sembra, almeno rispetto alla situazione attuale: già oggi molte compagnie telefoniche chiedono il codice fiscale a chi acquista una sim, e a sua volta il codice fiscale viene assegnato solo a chi ha un permesso di soggiorno (così prevedono le linee-guida interne dell’Agenzia delle Entrate). Insomma, chi non ha un documento di soggiorno non riesce quasi mai ad acquistare una scheda telefonica: ad impedirglielo non è la legge, ma un insieme di prassi consolidate, di consuetudini date per scontate, di regole amministrative scritte e non scritte.
Ciò non significa, beninteso, che l’emanazione della norma sarebbe priva di conseguenze concrete. Le conseguenze ci sarebbero, eccome! In primo luogo, perché un «messaggio», quando è scritto nero su bianco in una legge dello Stato, quando è propagandato a suon di trombe da un governo e da una maggioranza parlamentare, quando è diffuso largamente dai giornali e dai media, quando viene proclamato senza ragionamento alcuno, produce sempre degli effetti. In questo caso, ciò che viene trasmesso all’opinione pubblica – ma anche ai funzionari locali, agli operatori delle forze dell’ordine, e persino ai dipendenti delle compagnie telefoniche – è l’idea per cui i nuovi arrivati sarebbero non-persone, vite di scarto, uomini e donne non meritevoli di rispetto e di cura. La storia degli ultimi trent’anni ci ha mostrato quanto questo disprezzo istituzionale alimenti e incoraggi discriminazioni, esclusioni e – a volte – balorde violenze.
Bisogna poi osservare che la norma renderebbe permanenti e definitive disposizioni che fino ad ora erano fluide, non stabilite in modo preciso, e quindi aperte a possibili negoziazioni. Certo, già oggi molte compagnie telefoniche chiedono il codice fiscale (e quindi, indirettamente, il permesso di soggiorno): ma, non esistendo una legge precisa che le obbliga a farlo, è sempre possibile contestare questa prassi nelle sedi opportune, o magari trovare qualche negozio o qualche compagnia che segue procedure diverse. Con una legge dello Stato, questa fluidità verrebbe meno: la discriminazione sarebbe istituzionalizzata e in qualche modo definitiva.
Come spesso accade, il governo non ha pensato neppure ai possibili effetti «controintenzionali» prodotti dalle sue angherie normative. Qualcuno, in Parlamento ha provato a segnalarglieli, quegli effetti, ma non è stato ascoltato: alla Camera, nel dibattito in Aula del 17 Settembre scorso, nessun rappresentante del Governo ha preso la parola per spiegare il senso della norma, e nessun deputato della maggioranza è intervenuto per giustificare il suo voto favorevole; alla discussione hanno preso parte solo le opposizioni, che hanno sollevato alcuni rilevanti nodi critici. Così, per esempio, la deputata Emma Pavanelli (Cinque Stelle) ha citato il caso dei cittadini britannici – divenuti «extracomunitari» a seguito della Brexit – che vengono in Italia come turisti, e che quindi non hanno un permesso di soggiorno ma sono comunque autorizzati a rimanere per un periodo massimo di tre mesi: anche loro, benestanti e spesso bianchi (quindi ben visti dal nostro governo) subirebbero gli effetti di questa norma. Paolo Ciani, eletto nelle liste Pd, ha ricordato che la legge parla di «titolo di soggiorno» e non di «permesso di soggiorno», perché il permesso rilasciato dalle Questure non è l’unico documento che autorizza alla permanenza in Italia: ci sono anche, solo per fare qualche esempio, il visto turistico, la ricevuta di rilascio del permesso, la ricevuta di rinnovo, l’attestazione della domanda di asilo e tanti altri «pezzi di carta». Come faranno, gli addetti delle compagnie telefoniche, a distinguere uno straniero regolare da uno irregolare? Dovranno assumere un esperto di diritto dell’immigrazione per dirimere i casi dubbi?
Infine, impedire a un individuo di avere una scheda telefonica significa violare un diritto fondamentale sancito nel nostro ordinamento giuridico. Lo ha affermato di recente la Corte Costituzionale, nella sentenza n.2 del 2023. Si ricorderà che la nostra Carta, all’articolo 15, dice chiaramente che «la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili» (dice proprio così: inviolabili). Ebbene, la Corte ha ricordato che «la Costituzione tutela la libertà (e la segretezza) della corrispondenza, che all’epoca costituiva l’archetipo di riferimento, ma estende la garanzia ad ogni forma di comunicazione (…). È difficile pensare che il divieto di possesso e uso di un telefono mobile – considerata l’universale diffusione di questo strumento, in ogni ambito della vita lavorativa, familiare e personale – non si traduca in un limite alla libertà di comunicare». Insomma, la norma sarebbe contraria alla Costituzione. E non c’è da stupirsene: perché la Costituzione era nata proprio per opporsi alle angherie, che un regime precedente aveva perpetrato contro i cittadini.
C’è un ultimo aspetto della faccenda, il più preoccupante. Alcune caratteristiche dell’angheria gratuita sono evidentemente in azione in alcune scelte di questo governo nei confronti degli immigrati e di chi li salva dalla morte in mare, o li accoglie nella pratica sociale di ogni giorno: gli esempi sono numerosi, a partire dallo smistamento in porti lontani delle navi di ritorno dai salvataggi nel Mediterraneo.
Gli autori di angherie hanno scarse competenze relazionali e sociali, come rivela una letteratura accessibile, eccetto un’abilità che sfruttano al momento giusto: sanno chi, in un certo ambiente, poco può contare su una solidarietà autorevole e credibile. La soverchieria, l’angheria, conta su un lavoro di indebolimento dell’immagine sociale dell’immigrato ormai trentennale. Si può perciò presumere che deboli e velleitarie saranno le parole e le strategie di chi cerca di mettere in difficoltà l’angheria. È su questo punto che, muovendo da una sconfitta di decenni, è necessario mobilitarsi con intelligenza sistematica, pazienza ed efficacia.
Sergio Bontempelli, Giuseppe Faso e Marina Veronesi
30 Settembre 2024