Originariamente pubblicato su Corriere delle Migrazioni

Si fa fatica a crederlo, ma a quanto pare è vero: la Federazione Russa sta diventando un’importante terra di accoglienza per i rifugiati. Sì, avete capito bene: stiamo parlando proprio del paese di Vladimir Putin, un tizio non proprio famoso per la sua sensibilità ai diritti civili.

Eppure, all’inizio di Settembre alcune testate americane – ad esempio il New York Times e il Los Angeles Times – hanno dovuto riconoscerlo: da mesi Mosca si sta adoperando per garantire accoglienza a molti profughi, provenienti in particolare dall’Ucraina. Che sta succedendo, dunque? Lo storico amico di Silvio Berlusconi si è convertito alla causa dei diritti umani? Il dispotico Putin è diventato un “amico dei rifugiati”?

A noi italiani – diciamolo – queste domande vengono spontanee. Perché qui, nel Belpaese, il dibattito sull’asilo è sempre molto schematico: una martellante propaganda anti-immigrazione ci ha abituato a pensare che l’accoglienza debba necessariamente nascere dall’«etica della solidarietà». E invece, a volte, offrire protezione a chi fugge delle guerre può essere (anche) un modo per affermare la propria potenza, e Putin lo ha capito benissimo. Ma a questo punto sarà bene andare con ordine, e raccontare tutta questa storia dall’inizio.

Come funziona l’asilo politico in Russia
La Federazione Russa non è, tradizionalmente, una terra “ospitale” per i profughi. Certo, la Convenzione di Ginevra – quella che definisce lo status di rifugiato – è stata ratificata nell’ormai lontano 1993, e lo Stato è tenuto a proteggere chiunque fugga da conflitti, persecuzioni e violenze. Ma le cose, all’atto pratico, non sono così semplici.

La normativa in materia – il cui impianto risale, grosso modo, agli anni Novanta – distingue tre tipologie diverse di protezione (per maggiori dettagli, si veda qui e qui).

L’asilo politico vero e proprio, introdotto da un decreto del 1997, è riservato a coloro che abbiano subìto persecuzioni “personali e dirette”. Si tratta di una definizione restrittiva, e per certi aspetti arcaica: allude all’«esule» ottocentesco, o allo scrittore «dissidente» dei paesi socialisti pre-89. In altre parole, si rivolge a chi dimostri di essere individualmente ricercato per motivi politici: un caso abbastanza raro. Tra l’altro a concedere l’asilo è addirittura il Presidente della Repubblica, e non c’è da stupirsi se negli ultimi venti anni questa forma di protezione abbia avuto appena una quindicina di beneficiari.

La seconda tipologia è lo “status di rifugiato” previsto dalla Convenzione di Ginevra. In questo caso, le maglie sono più ampie, e la definizione è identica a quella adottata dai paesi occidentali: “rifugiato” è colui che abbia un “fondato timore” di subire persecuzioni, per motivi non soltanto politici ma anche razziali, religiosi, etnici e così via. A decidere sullo status è il Servizio Federale sulle Migrazioni, un organismo governativo incaricato di raccogliere le domande e di esaminarle. Benché la definizione sia ampia, i rifugiati effettivi sono pochissimi, e sono diminuiti negli anni: si è passati dai 239.000 del 1997 agli 8.700 del 2003, fino ai 3.400 del 2013 [si veda qui e qui]. Un po’ poco per un paese così grande…

L’«asilo temporaneo» e il caso Snowden
Infine, c’è il cosiddetto «asilo temporaneo», che corrisponde più o meno alla «protezione umanitaria» italiana: viene concesso dal Servizio Federale sulle Migrazioni, quando non vi siano i requisiti per lo status di rifugiato, ma sussistano appunto “ragioni umanitarie” sufficienti per garantire il diritto di soggiorno. I beneficiari, anche in questo caso, si contano sulle dita di una mano: tra il 2007 e il 2012, si sono registrate circa 2.000 domande ogni anno, e di queste poco più di un centinaio sono state effettivamente accolte.

Tra i “rifugiati temporanei” illustri c’è anche Edward Snowden, l’ex informatico della Cia che ha rivelato alla stampa le procedure di sorveglianza di massa praticate da alcuni governi occidentali. Accolto in Russia il primo Agosto 2013, è rimasto all’ombra della protezione di Putin per un anno: alla scadenza del permesso di soggiorno (il 31 Luglio scorso), ne ha chiesto e ottenuto il rinnovo, e dunque potrà rimanere ancora sul territorio. Snowden, però, ha manifestato l’intenzione di andarsene dalla Russia per cercare protezione altrove.

Cosa cambia con l’emergenza Ucraina
Con l’avvio della guerra in Ucraina, l’afflusso di richiedenti asilo e sfollati in Russia è aumentato in modo considerevole. Stando ai dati forniti dal Servizio Federale delle Migrazioni – riportati dall’Alto Commissariato ONU per i rifugiati –  nei primi nove mesi del 2014 più di 120.000 cittadini ucraini hanno chiesto asilo, mentre 138.000 hanno usufruito di altre forme di soggiorno regolare: un vero e proprio “esodo”, insomma. Al quale le autorità hanno risposto con una disponibilità e un impegno decisamente insoliti.

Con una serie di ordinanze, il primo ministro Dmitry Medvedev ha infatti provveduto a semplificare le procedure per le richieste di asilo dei cittadini ucraini. Questi ultimi possono ora richiedere protezione in gruppo, facendo domanda in una qualsiasi sede del Servizio Federale sulle Migrazioni, e dichiarando di fuggire da una situazione di guerra. L’asilo temporaneo sarà concesso entro tre giorni, invece che in tre mesi come accadeva in precedenza.

In più, secondo quanto riporta un recente dossier dell’Unhrc, molti ucraini di lingua russa hanno usufruito dei cosiddetti “programmi di reinsediamento dei compatrioti”, riservati alle minoranze russofone che si trovano all’estero: grazie a questi programmi, i profughi ottengono in tempi rapidi dei permessi di soggiorno per lavoro, e hanno accesso facilitato alla cittadinanza.

Non basta. A quanto pare, le autorità russe sono molto attive anche nell’assistenza materiale ai rifugiati. Secondo i dati forniti dal sito «Open Democracy», nel solo Distretto Federale Meridionale (il più vicino all’Ucraina) sono stati istituiti più di 65 centri di accoglienza temporanea, mentre in tutta la Russia ve ne sono circa 270. Una missione dell’Unhcr nelle città di Rostov, Voronezh e Brjansk, ha accertato che «l’emergenza è ben gestita» e che le «strutture ricettive temporanee sono conformi agli standard di un’accoglienza dignitosa».

Accoglienza fa rima con potenza
Tutto bene, dunque? La Russia è diventata il nuovo «Eden» per i rifugiati e i profughi di tutto il mondo? Evidentemente no. L’accoglienza è molto selettiva – ne beneficiano quasi esclusivamente gli ucraini di lingua russa – ed è finalizzata ad imporre un’egemonia sui paesi dell’Europa di lingua slava. Accoglienza, in altre parole, non fa rima (in questo caso) con solidarietà, ma con potenza.

Perché le politiche di asilo, ci piaccia o no, possono servire anche a questo: a dare un’immagine positiva di un paese nel mondo.

Sergio Bontempelli, 11 Gennaio 2015