Articolo di Elena Tebano pubblicato sul Corriere.it:
https://www.corriere.it/cronache/24_ottobre_04/migranti-regole-decreto-flussi-85f65bb6-7af6-47dc-b25a-05535f3d8xlk.shtml
Avete mai assunto una persona che vive all’estero da un elenco, magari come collaboratrice domestica, senza che nessuno la conosca e senza che l’abbiate mai incontrata? O siete mai stati assunti in un posto di lavoro che non avete mai visto, in un Paese straniero, senza sapere come è fatto?
La domanda può sembrare strana, ma questa è la precondizione richiesta in Italia ai migranti che vogliono arrivare in modo regolare nel nostro Paese. È cioè il meccanismo alla base dei cosiddetti decreti flussi per l’immigrazione legale. Ieri il governo in Consiglio dei ministri ha varato un decreto che riforma alcune regole dei flussi, ma ne mantiene intatto l’impianto fondamentale, che la premier Giorgia Meloni ha sempre difeso. Abbiamo parlato con Sergio Bontempelli, responsabile degli sportelli per stranieri della provincia di Pistoia (il cui compito, tra gli altri, è proprio assistere datori di lavoro e migranti nella richiesta e nel rinnovo dei permessi di soggiorno) per spiegare come funzionano le regole dell’immigrazione regolare in Italia e cosa cambia, o non cambia, con questo decreto.
Il numero di lavoratori immigrati prestabilito per decreto
«Tutto il meccanismo — spiega Bontempelli — si basa sul fatto che in Italia non si può assumere una persona che è arrivata con un visto turistico. E i migranti non possono venire qui legalmente per cercare un lavoro: devono averlo già prima di partire. Questo vale sia per i lavoratori altamente qualificati, per esempio medici o professori universitari, che per muratori, addetti alle pulizie o babysitter». L’immigrazione dei lavoratori stranieri, è possibile infatti solo se il datore di lavoro in Italia è disposto ad assumere una persona che è ancora nel suo Paese d’origine. È così dalla legge Bossi-Fini approvata nel 2002, che prende il suo nome dai due ex leader della destra. Ogni anno il governo di turno stabilisce con il cosiddetto decreto flussi il numero massimo di stranieri che possono entrare in Italia a lavorare. E indica il giorno in cui gli aspiranti datori di lavoro possono fare domanda per “chiamare” il singolo lavoratore che vogliono assumere.
Il limite dei flussi però è che spesso non corrispondono alle esigenze dei datori di lavoro (imprese, artigiani, contadini, famiglie) né degli immigrati. «Per quasi dieci anni, per esempio, i governi hanno stabilito che non potevano entrare badanti. O la badante era già regolare, oppure non si poteva farne venire una dall’estero» dice Bontempelli. Ma soprattutto per anni — e indipendentemente dal colore politico dei governi — le quote predeterminate dei visti sono state inferiori agli ingressi chiesti dai datori di lavoro. Nel 2023, per esempio, il governo aveva previsto di far entrare in Italia 82.705 lavoratori stranieri (ovvero nuovi immigrati) ma un’ora dopo l’apertura della procedura per chiedere i visti erano già arrivate 238.335 domande. Alla fine le richieste di assunzione sono state sei volte i visti disponibili: 462.422 per 82.705 posti disponibili. Alberto Favero, vice-presidente di Confindustria Vicenza, la definì «una lotteria che niente ha a che fare col merito e niente ha a che fare con il fabbisogno del Paese, delle aziende e i diritti delle persone». L’anno scorso il governo ha stabilito che per quest’anno i visti saranno pochi di più, 89.050, e l’anno prossimo ancora un po’ di più, 93.550. Comunque sempre molti meno delle richieste fatte solo l’anno scorso dai datori di lavoro.
La procedura iperburocratica
Il problema inoltre è che questo meccanismo, già di per sé complicato, è aggravato dalla burocrazia e dalla sua impostazione sicuritaria. «Ci sono almeno tre fasi da completare per ottenere il visto — spiega ancora Bontempelli—: 1) Il datore di lavoro deve chiedere il nullaosta alla prefettura per poter impiegare la singola persona che ha deciso di assumere e che si trova all’estero, secondo la cosiddetta “chiamata nominativa”; 2) Una volta che la prefettura autorizza l’assunzione, lo straniero deve andare all’ambasciata italiana nel Paese in cui si trova e chiedere il visto di ingresso. In alcuni casi ci vogliono anche quattro mesi per averlo e in quei quattro mesi il lavoro per cui l’immigrato doveva venire in Italia può anche sparire» dice Bontempelli. «Infine c’è l’ultimo passaggio: 3) Ottenuto il visto l’immigrato deve arrivare in Italia e firmare il contratto di lavoro in prefettura. Subito dopo deve chiedere il permesso di soggiorno in questura». Un processo così lungo e complicato può incepparsi spesso e a stadi diversi. Succede quasi sempre. Un caso classico è che i sistemi informatici si blocchino durante il click day, il giorno dell’anno in cui gli aspiranti datori di lavoro possono compilare e inviare le chiamate nominative. È molto comune inoltre avere ritardi negli appuntamenti e attendere per mesi l’arrivo del visto e del permesso di soggiorno finale. Le ambasciate sono di fatto uno dei cardini delle politiche migratorie: se funzionano bene o male determina nel concreto quante persone possono entrare regolarmente in Italia. Secondo il rapporto della rete Ero straniero, a maggio il 67% delle persone che l’anno scorso ha chiesto e ottenuto il visto dalle ambasciate italiane all’estero era ancora in «attesa convocazione», cioè non avevano ancora avuto l’appuntamento in ambasciata per andarlo a ritirare. E i ritardi erano aumentati rispetto al 2022, «a confermare — nota il rapporto — una pesante dilatazione dei tempi, ben oltre i limiti di legge, per questo passaggio della procedura».
«Se una persona deve assumere qualcuno perché ha bisogno subito di un dipendente, non può permettersi di seguire il meccanismo dei flussi» dice Bontempelli. «La procedura è così elefantiaca che strutturalmente non riesce a soddisfare le richieste del mercato del lavoro, né dei migranti».
È il segreto di Pulcinella che molte persone che fanno richiesta di immigrare nel nostro Paese con i flussi in realtà sono già da tempo in Italia, senza visto, e hanno già il lavoro per cui dovrebbero venire qui, ma in nero. Una volta che ottengono i documenti regolari fingono di entrare per la prima volta nel nostro Paese e regolarizzano il contratto di lavoro. Oppure fanno domanda per un lavoro che non svolgeranno mai, tipo la colf per parenti o per faccendieri prestanome (che finiscono per presentare un numero spropositato di domande), e si cercano un vero impiego — il muratore, magari in nero — quando arrivano.
Le novità approvate in Consiglio dei ministri
Le modifiche approvate ieri dal governo cercano pragmaticamente di risolvere alcuni di questi problemi. Il verbale del Consiglio dei ministri cita per esempio lo «svolgimento nel corso dell’anno di ulteriori “click day” per settori specifici» a parità di quote di ingresso per impedire che un eccesso di richieste mandi in tilt i sistemi informatici («Ma quella dell’unico “click day” era una consuetudine, già attualmente la legge non obbligava a farne uno solo», dice Bontempelli). Il decreto di ieri prevede anche di semplificare la procedura informatica: le domande di nulla osta al lavoro si potranno compilare prima dei “click day”; il sistema informatico comunicherà con le banche dati dei Ministeri di Interno e Lavoro, di Inps, Camere di commercio, Agenzia delle entrate e Agid, «al fine della verifica automatica di alcune tipologie di dati presenti nelle domande di nulla osta al lavoro»; si potrà firmare e inviare per via digitale il «contratto di soggiorno, abolendo la necessità per il datore e il lavoratore di presentarsi a tal fine presso lo sportello unico per l’immigrazione». Ci sono poi una serie di misure per impedire che prestanome e faccendieri facciano false assunzioni di massa al solo scopo di far ottenere i visti e altre per tutelare i lavoratore e le lavoratrici che denunciano il caporalato.
La premier Meloni ha sempre detto di non voler cambiare il meccanismo che impone ai migranti di avere già un lavoro per entrare in Italia. Ma significativamente nel decreto di ci sono almeno due modifiche che vanno in una direzione diversa.
Badanti e stagionali. Le misure che si “allontanano” dalla Bossi-Fini
Uno riguarda le colf e badanti. Non solo il governo ha sbloccato gli ingressi, ma lo ha fatto al di fuori del meccanismo dei flussi, prevedendo l’ingresso di diecimila persone da impiegare nel settore dell’assistenza sociosanitaria e familiare da reclutare attraverso le Agenzie per il Lavoro e altri intermediari riconosciuti. Nel verbale del Consiglio dei ministri si parla di introdurre «un canale di ingresso sperimentale per l’anno 2025 per l’assistenza di grandi anziani e disabili, nel limite di 10.000 unità, attraverso le Agenzie per il lavoro, le organizzazioni datoriali firmatarie del contratto collettivo nazionale di lavoro del settore domestico e i professionisti dell’area giuridico-economica».
L’altra modifica permette ai lavoratori stagionali di cercare lavoro quando sono già in Italia. Il Consiglio dei ministri ha annunciato infatti la «possibilità per i lavoratori stagionali di stipulare, nel periodo di validità del nulla osta al lavoro, un nuovo contratto con lo stesso o con altro datore entro 60 giorni dalla scadenza del precedente contratto» e la «possibilità di conversione, al di fuori delle quote, del permesso per lavoro stagionale in permesso per lavoro a tempo determinato o indeterminato». Questo di fatto semplifica l’ingresso per tutti, perché trovare dall’estero un lavoro stagionale è molto più semplice che trovare un altro tipo di lavoro: per gli immigrati che vogliono restare a lavorare in Italia è più facile procurarsi un contratto temporaneo come stagionali che un contratto più lungo. «Finora — spiega Bontempelli — gli stagionali se volevano restare in Italia dovevano tornare al proprio Paese e farsi richiamare».
Le richieste di superare la vecchia legge sull’immigrazione
Datori di lavori, migranti e associazioni del terzo settore che li assistono chiedono una riforma che vada sempre di più nella direzione di superare i flussi. Per esempio permettendo di venire a lavorare in Italia ai migranti che hanno fatto formazione nei Paesi di origine con aziende ed enti italiani (nel 2022 era stata fatta una sperimentazione di questo tipo che aveva funzionato). O allargare a tutti il meccanismo di un intermediario istituzionale introdotto quest’anno per colf e badanti. Oppure, infine, introdurre un visto per la ricerca di lavoro che si possa ottenere in cambio di determinate garanzie, come il pagamento anticipato del biglietto di ritorno in patria o il deposito della somma necessaria per vivere in Italia il tempo del permesso di soggiorno. E che dia ai migranti da sei mesi a un anno per trovare lavoro: se non lo fanno torneranno indietro con il biglietto già pagato. «Un altro segreto di Pulcinella è che questo, illegalmente, succede già: le persone entrano con un visto turistico e poi fanno domanda fingendo di essere tornate al loro Paese» dice Bontempelli.
Per andare oltre la Bossi-Fini, però, serve la volontà politica: smettere di parlare dell’immigrazione come di una minaccia costante e iniziare a trattarla come una risorsa. E questo è quanto di più lontano ci sia dalla concezione del centrodestra. Eppure il miglior modo di combattere l’immigrazione irregolare è proprio quello di rendere più accessibile l’immigrazione regolare.