Diritti dei migranti e antirazzismo

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Verso la regolarizzazione: una proposta concreta

Originariamente pubblicato sul sito di Adif – Associazione Diritti e Frontiere

Si è riaperto in questi giorni il dibattito sulla “sanatoria” degli immigrati. Vogliamo contribuire a questo dibattito con una nostra proposta tecnica: un possibile testo di legge, fondato sulla regolarizzazione di chi è qui senza documenti, sull’abrogazione dei decreti Salvini e sulla reintroduzione della protezione umanitaria

Il dibattito sulla regolarizzazione dei migranti senza permesso di soggiorno, che sembrava essersi arenato nei mesi scorsi, si è riacceso nelle ultime settimane, complice anche la drammatica carenza di manodopera che sta colpendo settori produttivi come l’agricoltura.

Pochi giorni fa, il Corriere della Sera ha pubblicato una bozza di provvedimento, su cui i Ministri del governo Conte II stanno ancora discutendo. Si tratta di un testo che, se approvato, limiterebbe la regolarizzazione solo ad alcuni comparti produttivi (agricoltura, allevamento, pesca e acquacoltura). A poter presentare le domande, inoltre, sarebbero solo e soltanto i datori di lavoro: un meccanismo pericoloso, quest’ultimo, già utilizzato in altre sanatorie, che rischia di alimentare situazioni di sfruttamento e di ricatto.

Noi continuiamo a pensare che sia possibile una regolarizzazione non strettamente vincolata al lavoro, che consenta l’emersione diretta degli stranieri coinvolti: un meccanismo che potrebbe sfociare nel rilascio di un permesso di soggiorno per “attesa occupazione”.

Al contempo, in vista di un più ampio dibattito su una riforma complessiva delle politiche migratorie, è quanto mai urgente abolire i decreti Salvini, che hanno stravolto il diritto fondamentale all’asilo previsto dalla Costituzione italiana.

Ci siamo già soffermati su queste proposte in un post pubblicato sul nostro sito alcuni giorni fa. Qui di seguito proviamo a trasformarle in un vero e proprio articolato di legge: è un nostro contributo tecnico-politico al dibattito in corso.

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Art. 1. Permesso di soggiorno per motivi umanitari

1. Al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) All’articolo 1, comma 1, alle parole «della qualifica di beneficiario di prote­zione internazionale» sono aggiunte le parole «e umanitaria»;

b) Il Capo IV è rubricato «Protezione sussidiaria e umanitaria»;

c) Dopo l’articolo 15 è aggiunto il seguente articolo 15 bis:

«Articolo 15-bis. La Commissione territoriale di cui all’articolo 27, primo comma, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, riconosce la prote­zione umanitaria quando non sussistono i presupposti per il riconoscimen­to della protezione internazionale, ma vi sono fondati motivi di ritenere che lo straniero interessato:

  • Non può godere nel suo paese di un effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, come prescritto dall’articolo 10 della stessa;
  • ha subito gravi violazioni dei suoi diritti fondamentali nel paese di origine o nei paesi che ha attraversato prima di arrivare in Italia;
  • ha intrapreso il viaggio per arrivare in Italia quando era ancora mi­norenne;
  • Abita in Italia da tempo, e ha maturato legami affettivi, familiari e sociali tali da rendere irragionevole e impraticabile un suo ritorno al paese di origine;
  • Abita in Italia da tempo, e si è stabilmente inserito nel mercato del lavoro»

d) All’articolo 16, comma 1, dopo le parole «lo status di protezione sussidia­ria», sono aggiunte le parole «e quello di protezione umanitaria»

e) All’articolo 16, comma 1, la lettera d-bis è sostituita dalla seguente: «costitui­sca un pericolo concreto ed attuale per l’ordine e la sicurezza pubblica, desumi­bile da circostanze di fatto che devono essere indicate nel provvedimento di re­voca»

f) All’articolo 23 è aggiunto i seguenti commi 3 e 4:

«3. Ai titolari dello status di protezione umanitaria è rilasciato un per­messo di soggiorno per protezione umanitaria, della durata di due anni. Tale permesso di soggiorno consente l’accesso al lavoro e allo studio ed è convertibile in un permesso per motivi di lavoro, sussistendone i requisiti.

4. Il permesso di soggiorno di cui al comma 3 può essere richiesto anche al Questore, al di fuori della procedura di protezione internazionale».

Art. 2. Abrogazione delle norme in materia di domande manifestamente infondate e di procedure accelerate

1. Al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, sono apportate le seguenti mo­dificazioni:

a) L’articolo 2-bis è abrogato

b) All’articolo 9, il comma 2-bis è abrogato

c) All’articolo 10, comma 1, le parole da «L’ufficio di polizia informa il richie­dente» a «può essere rigettata ai sensi dell’articolo 9, comma 2-bis» sono abroga­te;

d) All’articolo 10, comma 2, la lettera d-bis) è abrogata

e) All’articolo 28, comma 1, lettera c-ter) è abrogata

f) L’articolo 28-bis è abrogato;

g) L’articolo 28-ter è abrogato;

h) All’articolo 32, comma 1, la lettera b-bis) è abrogata.

Art. 3. Norme per fronteggiare l’emergenza Covid-19

1. All’articolo 35 comma 3 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo la lettera e), è aggiunta la seguente lettera f): «L’accesso al Medico di Assistenza Primaria e al Medico di Continuità Assistenziale».

2. Fino al 31 Dicembre 2020, l’accesso alle prestazioni di cui all’articolo 35 com­ma 3 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 è garantito anche ai cittadini stranieri soggiornanti con un visto di breve durata, nonché ai cittadini degli Sta­ti Membri dell’Unione Europea che non siano autorizzati all’iscrizione al Servi­zio Sanitario Nazionale. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394.

3. I permessi di soggiorno in scadenza nell’anno 2020 sono prorogati fino al 31 Dicembre 2020.

4. La disposizione di cui al comma 3 si applica anche ai permessi di soggiorno che, alla data dell’entrata in vigore della presente legge, erano stati già rifiutati, revocati o annullati.

5. Fino al 31 Dicembre 2020 sono sospesi tutti i procedimenti di revoca dei per-messi di soggiorno.

6. Il termine temporale di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 può essere ulteriormente prorogato, per ragioni legate all’emergenza sanitaria da Covid-19, con decreto del Ministero dell’Interno, emanato di concerto con il Ministero della Salute.

Art. 4. Regolarizzazione

1. Il cittadino straniero dimorante sul territorio nazionale, ma privo di un tito­lo di soggiorno, può dichiarare entro il 30 Giugno 2020 la sua presenza al Que­store della provincia in cui dimora, e la sua volontà di regolarizzare il proprio status giuridico.

2. La dichiarazione di cui al comma 1 è effettuata con modalità telematiche de­finite dal Ministero dell’Interno.

3. Il Questore, verificata la sussistenza dei requisiti per l’ingresso in Italia di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, rilascia un permes­so di soggiorno per attesa occupazione.

4. Il permesso di cui al comma 3 è rilasciato in deroga ai requisiti di previa re­golarità del soggiorno, di perdita del posto di lavoro e di iscrizione ai Centri per l’Impiego di cui all’articolo 22, comma 11 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

5. Per il rinnovo o la conversione del permesso di cui al comma 3 si applicano, in quanto compatibili, le norme di cui all’articolo 22 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e all’articolo 37 del Decreto Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394.

6. La ricevuta della dichiarazione di cui al comma 1, unitamente al passaporto dell’interessato in corso di validità, è titolo idoneo per l’iscrizione al Servizio Sa­nitario Nazionale.

 

Il Collettivo di Adif

Migranti e Covid-19, alcune proposte

Originariamente pubblicato sul sito di Adif – Associazione Diritti e Frontiere

La condizione di irregolarità in cui vivono molti migranti è da tempo insostenibile e inaccettabile, e lo è a maggior ragione nella fase di pandemia che stiamo vivendo in queste settimane. In primo luogo, la presenza di uomini e donne «invisibili», senza diritti, compromette la coesione sociale e rende più difficile l’attuazione delle misure di profilassi. In secondo luogo, l’irregolarità alimenta i circuiti del lavoro nero, grigio e sommerso, mette a repentaglio la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici coinvolti, e genera un’imponente evasione contributiva. Infine, interi settori produttivi (come l’agricoltura) registrano serie carenze di manodopera, anche per il venir meno di quasi 1 milione di lavoratori stagionali provenienti dai paesi UE.

In una fase così straordinaria non si possono continuare a utilizzare gli strumenti ordinari di regolazione dei fenomeni migratori: tanto più che questi strumenti si sono rivelati lesivi dei diritti fondamentali, e spesso inefficaci rispetto ai loro (discutibili) scopi dichiarati.

Per questo, guardiamo con favore ai diversi appelli circolati in questi giorni (lanciati, ad esempio, da alcuni dirigenti sindacali, dai Radicali o dalla Campagna Ero Straniero) nei quali si propone una regolarizzazione degli stranieri che vivono nel nostro paese. In particolare, come Adif abbiamo aderito all’appello «Siamo Qui: Sanatoria Subito», sottoscritto da numerose associazioni, che chiede – in attesa di «un profondo ripensamento delle politiche migratorie» – l’avvio di una regolarizzazione «che abbia come unico presupposto la presenza in Italia a oggi».

Condividendo pienamente quest’ultima proposta, riteniamo utile suggerire alcune misure concrete, che potrebbero rappresentare – se attuate – un primo, tangibile risultato a beneficio degli uomini e delle donne migranti presenti in Italia, e che al contempo potrebbero «smuovere le acque» di un contesto politico e sociale in movimento. Avanziamo qui di seguito alcune proposte, che ovviamente potranno essere integrate da suggerimenti e valutazioni che cercheremo di recepire.

Moratoria su dinieghi, preavvisi di rigetto e revoche di titoli di soggiorno

Nel contesto di drammatica emergenza sanitaria che stiamo vivendo, molte Questure continuano a notificare preavvisi di rigetto, dinieghi e revoche dei permessi di soggiorno. Allo stesso modo, le Prefetture continuano a notificare i rifiuti delle richieste di protezione internazionale emessi dalle Commissioni Territoriali. Si tratta a nostro avviso di comportamenti irresponsabili e inaccettabili, lesivi – tra l’altro – dei diritti di difesa e di partecipazione al procedimento amministrativo (si ricorda che è molto difficile, nell’attuale situazione di isolamento in casa, trovare un avvocato). È dunque necessario e urgente sospendere, almeno fino al 15 Giugno prossimo, tutti i dinieghi, preavvisi di rigetto e tutte le revoche dei titoli di soggiorno: si tratterebbe di una misura coerente con le finalità del cosiddetto «decreto cura-Italia» (n. 18/2020), che all’articolo 103 prevede una proroga di tutti i permessi e di tutte le autorizzazioni in scadenza; la norma andrebbe opportunamente ampliata, o interpretata in modo estensivo.

Al tempo stesso, anche al fine di ridurre il contenzioso, si dovrebbe prevedere il riconoscimento d’ufficio di una protezione umanitaria a tutti coloro che hanno presentato istanza (anche reiterata) e che abbiano ricevuto un rifiuto, e a coloro che sono ancora in attesa di essere convocati per l’audizione in Commissione. Infine, è opportuno prorogare fino a 21 anni i permessi di soggiorno per minore età in scadenza.

Proroga visti o presenze per turismo e possibilità di conversione

Molti cittadini stranieri si trovano oggi in Italia con visti per turismo, oppure sono entrati in esenzione di visto, potendo soggiornare per un periodo massimo di tre mesi. Il citato «decreto cura-Italia» n. 18/2020 prevede all’articolo 103 che «tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati, in scadenza tra il 31 Gennaio e il 15 Aprile 2020, conservano la loro validità fino al 15 Giugno 2020». Il visto turistico è da intendersi come un’autorizzazione, e rientra senz’altro in questa norma: si tratterebbe tuttavia di specificarlo, anche con circolare interpretativa. Sarebbe opportuno inoltre prevedere, almeno in questa fase di emergenza, la possibilità di convertire il soggiorno turistico (anche nei casi di esenzione del visto) in un permesso di soggiorno per inserimento stabile.

Iscrizione al Servizio Sanitario per tutti

Le Regioni non garantiscono un’adeguata assistenza sanitaria agli stranieri irregolari. Leggi il dossier Naga/Simm

È oggi quanto mai urgente garantire a tutti l’assistenza medica prevista dal Servizio Sanitario Nazionale. In teoria, anche i migranti irregolari possono accedere alle «cure urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative», come recita l’art. 35 comma 3 del Testo Unico Immigrazione; all’atto pratico, però, le Regioni non garantiscono un’effettiva assistenza a coloro che non hanno il permesso di soggiorno. Come documenta una recente inchiesta condotta dal Naga e dalla Simm, in molti casi gli irregolari possono accedere solo ad ambulatori gestiti dal volontariato, o sono costretti ad andare al Pronto Soccorso: cosa, quest’ultima, che le linee guida emanate dal Ministero della Salute raccomandano esplicitamente di non fare in tempi di coronavirus. Vi sono infine i cittadini stranieri che soggiornano per motivi di turismo, che sono esclusi dall’accesso all’STP e non possono iscriversi al SSN.

In concreto, il Governo potrebbe emanare un decreto urgente che sospenda temporaneamente l’attuazione di alcune norme del Testo Unico, in particolare l’art. 34 comma 1 che subordina l’accesso al SSN alla regolarità del soggiorno. In via provvisoria, l’iscrizione al Servizio Sanitario dovrebbe essere garantita alle persone presenti a qualsiasi titolo sul territorio, indipendentemente dalla titolarità di un permesso di soggiorno e dalla residenza anagrafica.

Ricordiamo che queste proposte sono attualmente il modo migliore per dare attuazione alle norme costituzionali in materia di diritti fondamentali, in particolare quelle di cui all’articolo 2 («La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo») e all’articolo 32 («La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»).

Negli 8 CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio) attualmente in funzione risultavano presenti, alla data del 31 Marzo, 344 persone (fonte Garante per i detenuti). Pensiamo da sempre che il sistema CPR (come ogni altra forma di detenzione amministrativa) sia da abolire ma, mai come oggi, questo obiettivo si rende urgente.

L’Italia potrebbe far propria la raccomandazione del 26 Marzo scorso, con cui la Commissaria per i diritti umani al Consiglio d’Europa Dunja Mijatovic invitava a chiudere le strutture di detenzione e a bloccare qualsiasi nuovo ingresso. La circolare della Ministra dell’Interno Lamorgese, anch’essa del 26 Marzo, non segue affatto tali indicazioni, e prevede misure in molti casi impraticabili e insufficienti (tra cui l’isolamento di alcuni detenuti). La “sospensione” della libertà di circolazione nell’area Schengen rende ancor più priva di senso la detenzione amministrativa.

Da ultimo la chiusura biunivoca delle frontiere impedisce di rimpatriare gli irregolari, e rende quindi del tutto irrealistiche – oltre che illegittime per violazione dell’art. 15 della Direttiva 115/2008 – le misure di espulsione e il connesso trattenimento nei Cpr.

Per tale ragione si impone la necessità di sospendere anche formalmente tutte le espulsioni, e di chiudere tutti i CPR, garantendo sistemazione in accoglienza volontaria alle persone ad oggi trattenute. Chiediamo alle istituzioni che si utilizzi questo periodo di chiusura per rivedere radicalmente il tema delle espulsioni, le ragioni e le modalità con cui queste sono state finora, pressoché illegittimamente, eseguite.

Riesame delle domande di asilo, reintroduzione della protezione umanitaria

Oggi che è scoppiata anche in Italia la pandemia da COVID-19 e che le prospettive di ritorno nei paesi di origine sono comunque azzerate, a fronte della situazione di emergenza sanitaria che si vive nei CAS, più che nei centri SIPROIMI – ex SPRAR, e della chiusura di tutte le frontiere anche per le operazioni di rimpatrio forzato, chiediamo con forza provvedimenti amministrativi di riesame delle decisioni di diniego ed il rilascio a tutti i richiedenti di un permesso di soggiorno provvisorio, convertibile alla scadenza in un permesso per ricerca lavoro.

Occorre accelerare al massimo le procedure istruttorie ancora aperte, senza procedere ad ulteriori audizioni, per riconoscere a tutti coloro che sono arrivati in Italia in condizioni di minore età un permesso di soggiorno per integrazione sociale e per eliminare gli effetti perversi dell’applicazione retroattiva della legge n. 132 del 2018. Occorre anche una modifica legislativa che reintroduca l’istituto della protezione umanitaria, in attuazione di una previsione costituzionale (art. 10 Cost.), con la conseguente abrogazione, per la parte che la riguarda, della legge n. 132 del 2018. Occorre, infine, sospendere anche formalmente i trasferimenti previsti dal Regolamento Dublino.

Una regolarizzazione per «ricerca di lavoro»

Si propone una regolarizzazione non immediatamente vincolata ad un rapporto di lavoro, né ad un’offerta di impiego (requisiti che difficilmente possono venir soddisfatti in un periodo di pandemia): una regolarizzazione «per ricerca di lavoro», dunque, il cui esito potrebbe essere il rilascio del permesso di soggiorno «per attesa occupazione» di cui all’articolo 22 comma 11 del Testo Unico Immigrazione. In considerazione della straordinaria situazione economica e sanitaria, non sarebbero richiesti – ai fini del rilascio di tale documento – i due requisiti indicati nel Testo Unico: la previa titolarità del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, e la perdita del posto di lavoro.

Come previsto dalla legge, il permesso così rilasciato avrebbe validità di un anno (eventualmente rinnovabile ai sensi della Circolare del Ministero dell’Interno prot. n. 0040579 del 03-10-2016), e dovrebbe – alla scadenza – poter essere convertito in altro permesso, qualora lo straniero ne abbia i requisiti.

Le domande di regolarizzazione dovrebbero essere inviate in forma telematica, mediante il Portale Nulla-Osta, il sito Cupa Project, o con altro strumento. La ricevuta dell’istanza, unitamente al passaporto, potrebbe valere come titolo di soggiorno provvisorio, valido anche per svolgere attività lavorativa ed ottenere la residenza anagrafica.

Adif- Associazione Diritti e Frontiere

9 Aprile 2020

L’accoglienza ai tempi del Coronavirus

Originariamente pubblicato su Fuorivista, periodico del Naga, n. 11, Marzo 2020

Sergio Bontempelli: operatore legale ed esperto di questioni legate allo status giuridico dei cittadini stranieri, coordina lo sportello dell’Associazione Africa Insieme a Pisa.

Come influisce questa nuova emergenza sul già penalizzato sistema dell’accoglienza? Ti aspetti che verranno immessi elementi peggiorativi destinati a permanere anche quando l’emergenza sarà passata? Quanto e come incide il problema del coronavirus sull’erogazione dei servizi più in generale disponibili per i migranti?

Per il momento ho informazioni solo sulla Toscana, quindi il mio osservatorio è molto limitato. Da quel che posso vedere, la situazione è tutt’altro che buona, per vari motivi.
In primo luogo, non si è adeguato il sistema di accoglienza alle esigenze di profilassi imposte dall’emergenza coronavirus: ad esempio, vi sono ancora diversi centri che ospitano decine di migranti, in condizioni di sovraffollamento che erano già indegne in condizioni «normali», e che diventano assolutamente inaccettabili in presenza di una pandemia.
In secondo luogo, in alcune province sta entrando proprio ora in vigore il capitolato Salvini, quello che limita i servizi erogati nei centri: il che significa, solo per fare un piccolo esempio, che in molti centri verrà tolta la connessione wi-fi, proprio nel momento in cui a tutti gli ospiti viene chiesto di restare chiusi a casa. Il rischio è che, in questa situazione, si alimenti la conflittualità e la legittima rabbia delle persone accolte, come è successo nelle carceri.
Infine, in molti centri gli operatori sono sprovvisti di mascherine e di dispositivi di sicurezza. Nel sistema di accoglienza, il lavoro degli operatori è sempre più squalificato e degradato, e la situazione del coronavirus sta facendo venire al pettine tutti i nodi.
Al momento, credo sia difficile capire come questa emergenza sanitaria potrà influire sulla vita quotidiana e sulle routine di lavoro del sistema di accoglienza. Credo che come associazioni e società civile dobbiamo vigilare affinché questo mondo – il mondo dei richiedenti asilo, dei migranti, ma anche degli operatori e degli addetti – non venga dimenticato e lasciato a se stesso.

Quanto e come la diffusione del virus sta incancrenendo ulteriormente le relazioni sociali soprattutto per quanto riguarda la tematica del razzismo? Quanto questa emergenza sta mettendo spietatamente a nudo alcune caratteristiche della cultura generale del nostro paese e non solo, quali la mancanza di solidarietà, la mancanza di attenzione verso l’altro e la paura dello straniero?

Abbiamo visto, soprattutto nelle prime fasi di diffusione della pandemia, una recrudescenza di atteggiamenti razzisti, soprattutto verso i cittadini cinesi.
Al tempo stesso, però, la situazione assolutamente inedita che stiamo vivendo sta mettendo in crisi molte certezze consolidate. I cinesi, come dicevo, sono stati percepiti come gli «untori» del coronavirus: eppure, l’epidemia in Italia non è partita né da Prato né dalla zona di Via Sarpi a Milano; negli insediamenti storici dell’immigrazione cinese, al contrario, il contagio è stato relativamente contenuto.
Gli altri classici «untori» dell’immaginario collettivo – i richiedenti asilo che arrivano dalla sponda Sud del Mediterraneo – non hanno avuto finora alcun ruolo nella diffusione della malattia.
Il virus, come ha scritto in questi giorni Ascanio Celestini, «ha viaggiato in business class, è passato da un corpo all’altro durante le riunioni dei manager (…), ha fatto il giro del mondo senza passaporto, ignorando le differenze di classe e di genere». E qua e là sta cominciando a emergere il fatto che, per combattere le pandemie, servono sistemi sanitari pubblici e inclusivi: non serve invece la caccia all’untore, al povero, allo straniero privo di mezzi.
Certo, affinché queste evidenze si consolidino nell’immaginario collettivo non basta l’emergenza coronavirus: è necessario anche cambiare la cornice (il «frame», come dicono gli psicologi cognitivi), cioè il modo in cui gli eventi vengono contestualizzati, percepiti, pensati e narrati. Per questo è importante che gli attori della società civile – ad esempio il «nostro» mondo, il mondo delle associazioni e degli attivisti – si mobilitino e prendano parola, e mettano in campo una sistematica opera di «reframing», di rimessa in discussione delle percezioni collettive consolidate.
Serve cioè una voce critica, attiva nello spazio pubblico, che parli di accesso universale ai servizi (in particolare al servizio sanitario), di diritti civili e sociali, di uguaglianza e di non discriminazione. La vicenda coronavirus deve servire come campanello d’allarme, come esempio per far capire l’importanza di tutte queste cose.

Gli stati europei brillano per il loro silenzio sia per quanto riguarda il virus sia per ciò che concerne la gestione del flusso migratorio, che ha sviluppato un nuovo picco emergenziale al confine tra Grecia e Turchia. Cosa dovrebbe pretendere dall’organismo di governo continentale il consistente (e internazionale) corpo sociale che in quasi tutti i paesi opera invece per favorire e gestire consapevolmente l’accoglienza dei migranti senza alcuna distinzione tra profughi economici, climatici o provenienti da zone di guerra?

Anche sul tema delle migrazioni è necessario mettere in campo una sistematica opera di «reframing». Si è ormai consolidata, tanto nel mondo politico quanto nelle opinioni pubbliche, un’immagine del migrante come soggetto pericoloso, da tenere lontano con muri, frontiere e provvedimenti repressivi. E il nostro compito – difficile, ma ineludibile – deve essere quello di riaffermare con forza il diritto di migrare, senza distinzioni (come giustamente dicevate) tra rifugiati e migranti.
Nell’immediato, credo che a livello europeo dovremmo batterci per l’immediata revoca di tutti gli accordi internazionali di «contenimento» dei movimenti migratori, a partire dall’accordo con la Turchia e da quello con la Libia: va riaffermato il diritto, sancito dalla Convenzione di Ginevra, a entrare sul territorio europeo per chiedere protezione e asilo.
A livello nazionale, è necessario chiedere l’abrogazione integrale dei decreti Salvini e del precedente decreto Minniti-Orlando, nonché una regolarizzazione che consenta a chi oggi vive in Italia senza permesso di soggiorno di emergere, e di vivere con pienezza di diritti. Mentre sul primo punto – l’abrogazione dei decreti Salvini e Minniti – siamo molto indietro, sulla regolarizzazione c’è un ordine del giorno approvato alla Camera nel Dicembre 2019, e dobbiamo batterci perché non rimanga lettera morta.

La regolarizzazione: necessaria, ma non sufficiente

Originariamente pubblicato sul sito di Adif- Associazione Diritti e Frontiere

È circolato in questi giorni un appello, sottoscritto da numerose associazioni e realtà della società civile, che chiede una regolarizzazione degli immigrati sans papiers presenti in Italia.

Come ricordano i firmatari, la Camera dei Deputati aveva approvato il 23 Dicembre scorso un ordine del giorno in cui si chiedeva al Governo di «valutare l’opportunità di (…) un provvedimento (…) [di] regolarizzazione dei cittadini stranieri irregolari»: una formula molto cauta, a cui aveva fatto seguito una dichiarazione della Ministra Lamorgese altrettanto prudente, ma pur sempre di apertura («l’intenzione del Governo (…) è quella di valutare le questioni poste dall’ordine del giorno (…), nel quadro più generale di una complessiva rivisitazione delle (…) politiche migratorie»). A queste prime, timidissime dichiarazioni non è seguito però alcun passo concreto, e anche il dibattito pubblico sul tema si è presto ridotto al silenzio.

La regolarizzazione: un provvedimento necessario…

Eppure, un provvedimento di regolarizzazione è ormai urgente e non più procastinabile. È urgente soprattutto per quelle decine di migliaia di cittadini stranieri che soggiornano in Italia, e che sono attualmente condannati ad una condizione permanente di invisibilità. Bisogna ricordare infatti:

  1. che la normativa proibisce in linea di principio (salvo pochissime eccezioni) l’emersione di uno straniero irregolare, anche in presenza di un datore di lavoro disposto ad assumere;
  2. che coloro che entrano nel nostro paese con un visto turistico, valido per tre mesi, non possono ottenere un permesso di soggiorno per lavoro;
  3. che le quote annuali di ingresso – uno strumento che per alcuni anni aveva consentito una modalità sia pur tortuosa e impropria di regolarizzazione – sono state azzerate a partire dal 2012, con il risultato che oggi le frontiere sono chiuse agli ingressi per lavoro;
  4. che, infine, i decreti Salvini hanno di fatto smantellato il sistema di asilo, e hanno condannato all’irregolarità migliaia di richiedenti.

In pratica, chi oggi non ha un permesso di soggiorno non ha alcuna possibilità di ottenerlo: è evidente che una situazione del genere non è sostenibile. Da questo punto di vista, un provvedimento di regolarizzazione è assolutamente urgente e necessario: oltretutto una misura di questo tipo – come ha osservato la Campagna «Ero Straniero» ­ comporterebbe notevoli benefici per l’economia nazionale, e per lo stesso bilancio dello Stato.

Infine, nel drammatico periodo di emergenza pandemica che stiamo vivendo, un provvedimento di regolarizzazione aiuterebbe a far emergere le molte situazioni di marginalità abitativa, lavorativa e sociale in cui vivono i migranti irregolari. Hanno dunque ragione i firmatari dell’appello, quando dicono che «il tema (…) non può essere accantonato e rimandato a tempi migliori; anzi, diventa ancor più rilevante e urgente nella contingenza che ci troviamo ad attraversare».

… ma non sufficiente

Chiudere i Centri per il Rimpatrio
Leggi l’appello delle associazioni

Se però si guarda all’emergenza dettata dalla pandemia, un provvedimento di regolarizzazione appare certo necessario, ma non sufficiente. E ciò per almeno due motivi.

In primo luogo, perché una regolarizzazione incide sullo status giuridico delle persone straniere (cioè sulla regolarità del loro soggiorno), e non tutti i problemi posti dall’epidemia sono riconducibili allo status. Per fare solo un esempio, vi sono migliaia di richiedenti asilo perfettamente regolari, che vivono in strutture di accoglienza sovraffollate dove è molto alto il pericolo di contagio: in questo caso, il problema non è il permesso di soggiorno, ma la condizione abitativa in cui queste persone si trovano a vivere.

In secondo luogo perché – come vedremo tra un attimo – i tempi inevitabilmente lunghi di una «sanatoria» non consentirebbero di affrontare le urgenze connesse alla diffusione del Covid-19.

Svuotare i CPR, chiudere i centri di accoglienza sovraffollati

Sono dunque necessari provvedimenti che impediscano il diffondersi del virus in situazioni di sovraffollamento. Proprio in questi giorni, alcune associazioni hanno avanzato alcune proposte concrete, che andrebbero attuate immediatamente. Qui di seguito elenchiamo le più significative:

  • Chiusura di tutti i Centri di Accoglienza Straordinaria di media e grande dimensione, e ricollocazione degli ospiti in un sistema di accoglienza diffusa;
  • Accesso alle strutture Siproimi (ex Sprar) anche per i titolari di permessi di soggiorno attualmente esclusi (motivi umanitari, casi speciali regime transitorio, protezione speciale, richiesta di asilo etc.);
  • Proroga, almeno fino al 30 Aprile 2020, delle misure di «emergenza freddo», in modo da garantire un adeguato alloggio alle persone senza fissa dimora;
  • Sospensione dei provvedimenti di cessazione/revoca dell’accoglienza, nonché riammissione nelle strutture di coloro che ne sono stati allontanati;
  • Immediata sospensione di ogni nuovo ingresso nei CPR (centri per il rimpatrio) e, per tutti i migranti già trattenuti, attuazione delle misure alternative al trattenimento (come richiesto anche da una lettera aperta inviata al Ministero, il 12 Marzo scorso, da decine di avvocati e associazioni).

Perché la regolarizzazione non basta

Quanto ai provvedimenti che attengono allo status giuridico dei migranti, la regolarizzazione deve accompagnarsi ad altre misure che tengano conto dell’urgenza in cui stiamo vivendo. Per quanto si possano accellerare i tempi, infatti, una «sanatoria» richiederebbe mesi prima di concludersi: sarebbe necessario prevedere una prima fase di inoltro delle domande, poi la relativa valutazione da parte delle Questure, infine la consegna materiale dei permessi ai richiedenti.

Queste procedure rischierebbero di subire ritardi proprio a causa della pandemia. Se la fase di invio delle domande può essere affidata senza troppi problemi a strumenti informatizzati (come già accade, ad esempio, per le richieste di ricongiungimento familiare e di concessione della cittadinanza), per la consegna dei documenti è necessaria la presenza fisica dell’interessato: ed è difficile pensare di questi tempi a lunghe file in Questura per il ritiro dei permessi di soggiorno. Tra l’altro, lo straniero dovrebbe recarsi in Questura anche per le impronte digitali, obbligatorie per legge (Testo Unico Immigrazione, art. 5, comma 2-bis).

Nel periodo tra la presentazione delle domande e la conclusione della regolarizzazione, gli stranieri disporrebbero inoltre di una semplice ricevuta. Se questa ricevuta fosse in formato Pdf (come accade oggi per le procedure informatizzate del ricongiungimento e della cittadinanza), difficilmente potrebbe valere come documento sostitutivo del permesso di soggiorno. Si tratterebbe infatti di un file che non avrebbe i requisiti per costituire un documento di identificazione (DPR 445/00, art. 1 lettera d), a meno che non si trovi il modo di includervi la fotografia dell’interessato: cosa tecnicamente non facile da fare in tempi brevi.

Infine, per quanto le maglie di una «sanatoria» possano essere larghe, è ovvio che si debbano prevedere requisiti minimi di accesso (nelle regolarizzazioni del passato era richiesto di solito un contratto di assunzione o un’offerta di lavoro). Chi non avesse tali requisiti resterebbe comunque al di fuori: e vi sono alcune misure di prevenzione del Covid-19 che debbono essere applicate alla totalità della popolazione, senza distinzioni di status.

Cosa si dovrebbe fare, oltre alla «sanatoria»

La regolarizzazione, dunque, è un provvedimento importante, che però nell’attuale fase di emergenza deve essere accompagnato da altre misure. In particolare, è assolutamente indispensabile sospendere, almeno in via temporanea, il legame tra il permesso di soggiorno e l’accesso a determinati diritti e servizi.

Il problema riguarda in primo luogo l’alloggio: secondo l’art. 40 del Testo Unico Immigrazione, tutti i servizi di carattere abitativo (case popolari, alloggi di emergenza, centri collettivi etc.) sono riservati esclusivamente agli immigrati regolari. Prima del 2002, la legge consentiva ai Sindaci – qualora vi fossero particolari «situazioni di emergenza» – di alloggiare anche stranieri «non in regola con le disposizioni sull’ingresso e sul soggiorno», ma questa clausola fu abrogata dalla legge Bossi-Fini. Oggi, con lo sguardo retrospettivo di un’epoca che sta affrontando davvero una «situazione di emergenza», si vedono gli effetti sciagurati di norme così inutilmente vessatorie: eppure, ci dissero all’epoca, la Bossi-Fini serviva per tutelare «la nostra sicurezza»…

Con questa norma, è difficile oggi – se non impossibile – trovare una sistemazione dignitosa e sicura ai tanti cittadini stranieri che si trovano in condizioni di precarietà abitativa: dai braccianti che vivono nelle baraccopoli agricole del Sud, ai rom costretti nei «campi nomadi» informali, fino agli irregolari che alloggiano in sistemazioni di fortuna nelle periferie delle grandi città.

Le Regioni non garantiscono un’adeguata
assistenza sanitaria agli irregolari.
Leggi il dossier Naga/Simm

Ma il problema riguarda anche l’assistenza sanitaria. Perché è vero che, in teoria, anche i migranti irregolari possono accedere alle «cure urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative», come recita l’art. 35 comma 3 del Testo Unico Immigrazione; ma è altrettanto vero che, all’atto pratico, le Regioni non garantiscono un’effettiva assistenza sanitaria a coloro che non hanno il permesso di soggiorno. Come documenta una recente inchiesta condotta dal Naga e dalla Simm, in molti casi gli stranieri irregolari possono accedere solo ad ambulatori gestiti dal volontariato, o sono costretti ad andare al Pronto Soccorso per avere qualunque forma di assistenza, anche la più banale: cosa, quest’ultima, che le linee guida emanate dal Ministero della Salute raccomandano esplicitamente di non fare in tempi di coronavirus.

Una proposta concreta

In concreto, il Governo potrebbe emanare un decreto urgente che sospenda temporaneamente la validità di alcune norme del Testo Unico, come l’art. 34 comma 1 (accesso al Servizio Sanitario Nazionale per gli stranieri regolarmente soggiornanti), l’art. 40 (accesso agli alloggi sociali e di emergenza abitativa, sempre per gli stranieri regolari) e l’art. 41 (accesso alle prestazioni del servizio sociale riservato ai titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno). In via provvisoria, tutti questi servizi (alloggio, provvidenze sociali, iscrizione al SSN ecc.) dovrebbero essere garantiti alle persone presenti a qualsiasi titolo sul territorio, indipendentemente dalla titolarità di un permesso di soggiorno e dalla residenza anagrafica.

La sospensione temporanea di alcune norme, peraltro, non sarebbe una novità assoluta nelle politiche migratorie del nostro paese. Ad esempio, da anni ormai i cittadini stranieri non possono utilizzare le autocertificazioni nelle procedure relative all’immigrazione. C’è una legge secondo cui possono farlo, ma la validità di questa legge è per l’appunto sospesa, e da tempo la «sospensione» viene prorogata di anno in anno, nel classico provvisorio che diventa definitivo. Se il governo lo ha fatto sulle autocertificazioni, perché non dovrebbe farlo per una questione assai più importante, e cioè la tutela della salute in un periodo di epidemia?

Sergio Bontempelli

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