Ricordo di Gilberto Vento

Originariamente pubblicato sulla pagina Facebook personale

Ho conosciuto Gilberto Vento quando non avevo ancora quindici anni. Avevo cominciato a frequentare allora Democrazia Proletaria, un piccolo partito che oggi chiameremmo “della sinistra radicale” (all’epoca si preferiva dire “rivoluzionaria”, un aggettivo che di lì a poco sarebbe caduto in desuetudine). Ero poco più che un bambino, e di fronte a quel mondo “dei grandi” – le riunioni, le assemblee, le discussioni politiche – mi sentivo perennemente inadeguato, a disagio, fuori posto.
Assieme ad alcuni amici riuscimmo a formare un piccolo gruppo di “giovani demoproletari” nelle scuole pisane. Ma anche loro, i miei amici, erano poco più che bambini, e anche loro, nelle riunioni “dei grandi”, si sentivano a disagio. E poi, a dirla tutta, non era solo disagio: il problema è che non capivamo granché in tutti quei discorsi “da grandi” (una volta, a un’assemblea di partito, mi chiesero se volevo firmare una mozione: e io non seppi cosa rispondere, perché non avevo la minima idea di cosa fosse “una mozione”…).
Ecco, di quel gruppo di ragazzi giovanissimi, appena usciti dall’infanzia, Gilberto finì per diventare il padre, o, se non proprio il padre, il tutore, il maestro elementare, il precettore. Presenziava con discrezione alle nostre riunioni, fingendo di fare altre cose nella stanza attigua; ci dava consigli, ci seguiva, si offriva di darci un passaggio in macchina quando c’era una riunione in qualche posto lontano. E ascoltava pazientemente i nostri sfoghi.
Era amico dei nostri genitori (i giovani demoproletari di allora erano quasi tutti “figli d’arte”, rampolli della borghesia sessantottina), e spesso “intercedeva” con loro per farci partecipare a qualche manifestazione o raduno nazionale: perché, per quanto sessantottini, i genitori erano pur sempre genitori, e si preoccupavano per la sorte dei loro figli appena usciti dall’infanzia.
Questo è stato per me Gilberto: una figura di riferimento, una specie di “babbo politico” nei miei anni adolescenziali e di formazione. Tanto che secondo mia mamma, Cristiana Vettori, ho preso da Gilberto alcuni modi di dire, alcuni sguardi, alcune espressioni del viso: e può darsi che sia così.
Poi, come spesso accade, le cose sono cambiate: il “bimbo” è cresciuto, e come tutti i “bimbi” ha fatto la sua strada, in piena autonomia dai genitori sia biologici che politici. Dopo lo scioglimento di Dp, io e Gilberto abbiamo continuato a frequentarci per qualche anno, entrambi iscritti allo stesso circolo di Rifondazione Comunista (dove tra l’altro ho conosciuto Roberta Fantozzi ). Poi le nostre strade si sono veramente divise, e in qualche occasione è capitato pure di litigare, in modo abbastanza rumoroso tra l’altro….
Negli ultimi tempi ci eravamo persi di vista. Ricevetti una sua telefonata un paio di anni fa: mi disse che era stato male, ma che non aveva voglia di parlarne, e mi chiese alcuni dati sui migranti e sull’immigrazione che gli servivano, credo, per qualche discussione interna ai Cobas. Ci congedammo con una risata, non mi ricordo cosa ci dicemmo che ci fece sorridere, ma mi è rimasta impressa questa sensazione di allegria. È stata l’ultima volta in cui ho sentito la sua voce.
In questi giorni Gilberto ci ha lasciato: con lui se ne va un pezzo di storia pisana, e anche di storia personale mia e di tanti ex ragazzi della sinistra, radicale o rivoluzionaria che sia. Ciao Gilberto