Perché i flussi, e non la sanatoria?

Originariamente pubblicato sul sito di Adif – Associazione Diritti e Frontiere

È appena uscito il “decreto flussi”, che consente, in teoria, l’ingresso in Italia di lavoratori migranti. In pratica, non serve più a nessuno: servirebbe, invece, una nuova sanatoria

Dunque è accaduto anche quest’anno: il Consiglio dei Ministri ha varato il decreto flussi (qui il testo, e qui la circolare applicativa), che stabilisce la quota massima di lavoratori stranieri ammessi ad entrare in Italia nel 2016.

In altri tempi, la notizia avrebbe fatto il giro del web, suscitando un “terremoto” nel mondo dei migranti, dei loro amici e dei loro sostenitori: ma oggi, con la crisi economica galoppante e l’attenzione mediatica concentrata sugli “sbarchi” dei profughi, la cosa è passata quasi inosservata. Anche perché, nel frattempo, le politiche migratorie sono cambiate, e – per così dire – il “decreto flussi” non è più quello di una volta… Ma fermiamoci un momento, e andiamo con ordine.

I decreti flussi…

I “decreti flussi” hanno rappresentato, nel decennio 2000-2010, un vero e proprio pilastro delle politiche italiane in materia di immigrazione. I (poco) illuminati legislatori si erano convinti di poter selezionare i flussi “alla fonte”, cioè scegliendo i potenziali migranti prima ancora della loro partenza dai paesi di origine.

Il sistema si reggeva – e si regge tuttora – su quello che è stato chiamato “divieto di regolarizzazione”: lo straniero che si trovi già in Italia, e che non abbia i documenti di soggiorno, non deve regolarizzarsi in alcun modo, nemmeno se ha trovato un lavoro, nemmeno se è in grado mantenersi da solo (senza gravare sull’assistenza pubblica).

All’origine di queste bizzarre disposizioni c’è appunto l’idea per cui l’immigrazione deve essere regolata “a monte” (disciplinando gli ingressi) e non “a valle” (mettendo in regola chi è già arrivato): lo Stato deve cautelarsi in anticipo dai flussi “indesiderati”, consentendo l’arrivo in Italia solo agli stranieri che abbiano già un contratto di lavoro. Ciò significa che l’assunzione dovrà avvenire prima della partenza: i futuri migranti otterranno il visto esibendo un “invito” dei loro datori di lavoro, e solo così potranno entrare in Italia.

I decreti flussi hanno funzionato, in passato, come “sanatorie mascherate”

Non basta. Per prevenire la concorrenza tra migranti e “autoctoni” – per evitare cioè che gli stranieri «ci rubino il lavoro», come si dice – i Governi hanno pensato bene di contingentare gli ingressi, cioè di limitarli numericamente: un “tot” ogni anno (una quota, come si dice in gergo), quanto basta per rifornire le aziende delle “braccia” necessarie, ma non troppi da creare competizione con i “nazionali”.

Nascono così i decreti flussi, che stabiliscono il numero massimo di assunzioni dall’estero da stipulare in un anno. Quando esce il decreto, il datore di lavoro presenta una proposta di assunzione in favore di uno straniero: se l’istanza è inoltrata prima delle altre – cioè prima dell’esaurimento della quota – il lavoratore può entrare in Italia. Diversamente, se la richiesta parte troppo tardi, lo straniero dovrà rimanere a casa sua.

…il loro fallimento…

Questo sistema, di fatto, non ha mai funzionato, e non c’è da stupirsene. L’idea di una assunzione a distanza è abbastanza improbabile (chi assumerebbe mai un lavoratore che non ha mai visto né conosciuto, e che abita lontano migliaia di chilometri?), e il meccanismo delle quote massime ha prodotto una confusa rincorsa ad “arrivare primi”.

Di fatto, quasi nessuno ha utilizzato il decreto flussi per assumere davvero lavoratori dall’estero. Solitamente i migranti sono arrivati in Italia in altri modi – con ingressi irregolari o con visti turistici –, hanno trovato un datore di lavoro e sono stati assunti al nero: poi, per regolarizzare la loro posizione, hanno utilizzato il decreto flussi, fingendo di trovarsi ancora ai paesi di origine, e facendosi “chiamare” dai datori di lavoro. Una sanatoria mascherata, quindi.

Nel 2006, all’apertura del decreto flussi, a presentarsi agli sportelli furono centinaia di migliaia di migranti, gli stessi che in teoria dovevano trovarsi ancora nei loro paesi. Qui sotto trovate un video, girato a Pisa, che descrive la confusione di quei giorni:

Una situazione grottesca, quindi, ma tollerata: le imprese avevano bisogno di nuovi lavoratori stranieri, e non potevano sottostare ai complicati meccanismi delle “assunzioni a distanza”. I governi, dal canto loro, dovevano fare la “voce grossa”, mostrarsi rigidi censori della cosiddetta “immigrazione fuori controllo”. Serviva quindi un compromesso all’italiana, una elusione tollerata delle norme, per far contenti tutti.

…e il loro “svuotamento”

Nel 2011, in piena crisi economica, la situazione cambia. Prima un “documento tecnico interministeriale”, poi una vera e propria decisione politica, mettono definitivamente in soffitta il fragile compromesso dei decreti flussi. I dicasteri dell’Interno e del Lavoro stabiliscono di interrompere gli ingressi dall’estero: le “quote” dovranno riguardare pochi stranieri “altamente qualificati” (dirigenti d’azienda, professionisti ecc.) e alcune categorie di lavoratori stagionali. Per tutti gli altri, non sarà più prevista la possibilità di entrare in Italia per motivi di lavoro.

Nel frattempo, il fenomeno migratorio cambia radicalmente volto: i tradizionali flussi di lavoratori dall’Est Europa vengono ora sostituiti dai profughi e dai rifugiati che arrivano via mare, dai paesi arabi o dall’Africa sub-sahariana. Chi sbarca sulle coste del Sud Italia di solito chiede asilo, e dunque non ha bisogno di “sanatorie” né di “decreti flussi” per regolarizzarsi.

La situazione di oggi

Così, oggi il “decreto flussi” sopravvive come un fossile giuridico, che non serve (quasi) a nulla. Ne hanno ancora bisogno, è vero, alcune aziende che impiegano manodopera stagionale. Ed è ancora utile, ad esempio, per convertire i permessi di soggiorno per studio in permessi per lavoro. Ma non è più utilizzabile come “sanatoria mascherata”, e i datori di lavoro non attingono alle quote annuali per impiegare nuova manodopera. Il caso del decreto 2016 è emblematico: basta scorrere il testo per rendersi conto della sua sostanziale inutilità.

Circa metà delle quote previste sono destinate alle conversioni, cioè alla trasformazione di alcuni titoli di soggiorno in permessi per lavoro. Una quota significativa (2.400 nuovi ingressi) è invece destinata a “imprenditori e liberi professionisti”: potranno accedervi ad esempio «gli imprenditori che intendono attuare un piano di investimento (…) non inferiore a 500mila euro» [!!], o i «liberi professionisti che intendono esercitare professioni regolamentate e vigilate», o ancora gli «artisti di chiara fama».

In nome della nefasta ideologia dell’«immigrazione scelta», quindi, si fa entrare Paperon de’ Paperoni, Perry Mason e Caravaggio, fingendo di ignorare che i flussi migratori sono altra cosa, e rispondono a ben altre dinamiche.

Ci sono poi i flussi cosiddetti “stagionali”, che consentono l’ingresso in Italia a lavoratori che poi, alla fatidica scadenza dei nove mesi, devono tornare nei loro paesi di origine: una versione italica dei lavoratori ospiti di triste memoria.

Per tutti gli altri, per i migranti “normali” – per chi intende entrare in Italia, per chi cerca di regolarizzarsi, per chi ha trovato un datore di lavoro disponibile all’assunzione – nulla di nulla, come ha ben spiegato in questi giorni il sito Stranieri in Italia.

La sanatoria necessaria

Ci sarebbe bisogno di una nuova “sanatoria”

Nel frattempo, però, servirebbero nuove opportunità di regolarizzazione. Ne avrebbero bisogno i tantissimi cittadini stranieri che in questi anni, a causa della crisi economica, hanno perso il lavoro, e non sono riusciti a rinnovare il permesso di soggiorno. Ne avrebbero bisogno anche i richiedenti asilo che si sono visti rifiutare l’accesso allo status di rifugiato, e che continuano a vivere da “irregolari” nelle nostre città.

Ci sarebbe bisogno, soprattutto, di riaprire le frontiere, e di costruire meccanismi sensati, realistici, credibili di ingresso e di soggiorno in Italia. In tempi di crisi economica, una politica meno restrittiva non provocherebbe nessuna “invasione” (i dati ci dicono che molti immigrati stanno abbandonando l’Italia).

Sergio Bontempelli

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