Marocco, sanatoria in arrivo

Articolo originariamente pubblicato su Corriere delle Migrazioni

È in arrivo una “sanatoria” in Marocco. Avete letto bene. Non stiamo parlando di un provvedimento di regolarizzazione destinato agli immigrati marocchini in Italia. No, siamo proprio nel paese nordafricano: è qui che il re vuole concedere un permesso di soggiorno agli stranieri irregolari.
Il Marocco, cioè, sta diventando – anzi, è già diventato – un paese di immigrazione. Un luogo “di transito e di arrivo” – per usare i termini tecnici – e non più solo “area di partenza” dei flussi migratori. Ma le sorprese non finiscono qui: dati aggiornati dicono che i migranti provengono anche dai paesi europei, e che – ad esempio – molti spagnoli si stanno trasferendo sulle coste del Maghreb per lavorare e mandare a casa un po’ di risparmi. Ora che il re ha deciso di varare una regolarizzazione, vedremo immigrati spagnoli che chiedono un permesso di soggiorno in Marocco: una specie di sogno all’incontrario. Ma a questo punto sarà bene procedere con ordine.

Gli spagnoli in Marocco
Prima era solo una sensazione, che faceva capolino in qualche audace reportage giornalistico. Ora cominciano ad arrivare i dati: il numero di spagnoli trasferitisi in Marocco – dice l’istituto di statistica di Madrid – si è moltiplicato per quattro tra il 2003 e il 2011. I cittadini iberici iscritti ai registri consolari sono aumentati dai 7.740 del 2010 agli 8.115 del 2012. E non si tratta più solo di imprenditori a caccia di affari: circa un terzo dei nuovi migranti svolge attività di lavoro dipendente.
Non basta. Secondo fonti consolari, riportate dal giornale online Daily Maroc, sarebbero almeno 5.000 gli spagnoli trasferitisi in Marocco, ma privi di residenza. Si tratta di persone che vivono e lavorano nel paese nordafricano, ma che soggiornano formalmente come turisti, quindi possono rimanere solo tre mesi: allo scadere del periodo di permanenza consentito, tornano in Spagna per qualche giorno, poi rientrano ancora in Marocco, sempre come turisti. Proprio come fanno da noi molti cittadini albanesi, o come hanno fatto per un decennio tante lavoratrici domestiche dell’Est Europa.
Certo, i numeri non sono proprio quelli di un’immigrazione di massa: cifre alla mano, si parla di 10/15 mila spagnoli, non di più. Ma il fenomeno esiste, ed è in crescita.

Paese di emigranti o di immigrati?
A questo punto, viene da pensare che il Marocco potrebbe diventare come l’Italia, che da paese di emigranti è divenuta meta di consistenti flussi migratori. Qualcuno ha addirittura prefigurato uno scenario simile a quello descritto in Africa Paradis, il film del regista beninese Sylvestre Amoussou, in cui si immaginano le avventure di due francesi che, nell’anno 2033, emigrano da un’Europa in piena decadenza per tentare la fortuna nei ricchissimi “Stati Uniti d’Africa”.
Un sogno, forse un incubo, che però è destinato a non trasformarsi in realtà. Perché le cose sono ben più complesse.
Il Marocco continua, infatti, ad essere terra di emigrazione. Stando ai dati forniti dall’Oim, sono più di tre milioni i sudditi di re Muhammad VI che risiedono stabilmente all’estero, mentre le rimesse degli emigranti rappresentano circa il 7% del Pil.
Non basta. Il paese resta un luogo di transito per migliaia di subsahariani diretti in Europa: sono moltissimi coloro che, attraversata illegalmente la frontiera con l’Algeria, entrano in territorio marocchino e raggiungono l’enclave iberica di Melilla. La destinazione finale del viaggio è la Spagna, dunque l’Europa.
Da sempre, l’Ue fa di tutto per arginare questi flussi, in nome della “lotta all’immigrazione clandestina”. E in questa battaglia il Vecchio Continente ha bisogno dell’aiuto dei “paesi di origine e di transito”: in altre parole, Bruxelles chiede ai governi della sponda Sud del Mediterraneo di fermare i cosiddetti “viaggi della speranza”.
Il Marocco è uno dei paesi più “collaborativi” in questo senso. Il 6 giugno scorso, per esempio, le autorità del paese nordafricano hanno firmato con l’Unione Europea una dichiarazione congiunta, finalizzata ad agevolare espulsioni e respingimenti. Solo un mese prima, i vertici delle polizie marocchina e spagnola si erano incontrati per definire una più stretta cooperazione in materia di lotta all’immigrazione irregolare.
Il Marocco, insomma, continuerà ad essere luogo di origine e di transito dei flussi migratori diretti in Europa. Solo che, nel frattempo, sta diventando anche un paese di destinazione. I ruoli non si rovesciano, potremmo dire, ma si complicano e si intrecciano.

I migranti subsahariani…
In parte, questo cambiamento è indotto proprio dalla collaborazione con l’Europa: ostacolati nel loro viaggio verso i paesi ricchi, molti migranti subsahariani non riescono a raggiungere la Spagna, e rimangono intrappolati in Marocco. Qualcuno trova un lavoro, magari al nero, e decide di fermarsi. E ad agevolare questo processo ci si è messa la crisi economica, che ha reso i paesi europei un po’ meno “attraenti” per chi cerca lavoro.
Così, negli ultimi anni si sono moltiplicate le presenze di subsahariani in Marocco. Le stime ufficiali parlano di 10/20 mila irregolari, ma secondo le associazioni la cifra complessiva potrebbe arrivare a 25 mila. I numeri più significativi si concentrano nelle zone di confine con l’Algeria, dove i migranti soggiornano per periodi relativamente brevi nella speranza di raggiungere Melilla prima, e la Spagna poi. «Nella regione orientale», si legge in un recente rapporto di Medici Senza Frontiere, «le temperature possono scendere sotto lo zero in inverno e andare oltre i 44 gradi in estate: i migranti vivono in rifugi di fortuna, in grotte ed edifici abbandonati, con un limitato accesso al cibo e all’acqua potabile».
I più “fortunati” riescono a raggiungere le città, dove trovano lavoro, ovviamente al nero, nei ristoranti o nei call-center: secondo alcune stime dei sindacati, lo stipendio medio di un immigrato africano è circa la metà di quello di un marocchino “autoctono”.

… e il razzismo
Il razzismo, purtroppo, non è un’esclusiva dei paesi europei: anche in Marocco, la crescita dell’immigrazione ha coinciso con un’allarmante escalation della xenofobia. E i migranti subsahariani ne sono, manco a dirlo, le principali vittime.
I primi a denunciare il fenomeno sono stati quelli di Medici Senza Frontiere: che nel loro dossier, uscito nel marzo 2013, parlano di continue violenze e abusi della polizia marocchina contro i migranti di origine africana. Msf non esita a chiamare in causa la civilissima Europa: secondo l’organizzazione umanitaria, infatti, le violenze sono aumentate da quando il Marocco ha stipulato accordi di cooperazione con l’Ue per il contrasto all’immigrazione clandestina. E le conseguenze sono drammatiche: «nella regione orientale», si legge nel dossier, «le incursioni delle forze dell’ordine sono pressoché quotidiane: durante questi raid, vengono arrestati rifugiati, richiedenti asilo, donne incinte e bambini, che spesso vengono portati di notte al confine con l’Algeria, e abbandonati nella “terra di nessuno” tra i due paesi».

Due casi mediatici
Il 24 luglio, le città del Nord del paese sono il teatro di una delle più spettacolari operazioni di polizia degli ultimi anni. Le forze dell’ordine irrompono nei quartieri popolari delle periferie, eseguono controlli a tappeto nelle case degli immigrati, interrogano e perquisiscono quasi 700 persone, procedono all’arresto di decine di stranieri irregolari. Alain Toussaint, congolese di 40 anni, insegnante a Rabat, viene fermato e spinto a forza in un cellulare della polizia. Mentre il mezzo si dirige verso il confine con l’Algeria, Toussaint cerca di discutere con gli agenti: dice di essere regolare, mostra il suo permesso di soggiorno, chiede di essere rilasciato. I poliziotti reagiscono irritati, la tensione sale e vola qualche parola grossa. Alla fine, Toussaint viene buttato fuori dal finestrino: ricoverato d’urgenza all’Ospedale di Tangeri, muore cinque giorni dopo.
Il 14 agosto, a Rabat, il giovane senegalese Ismaila Faye sale su un autobus e si mette a sedere. Entra un signore marocchino e trova tutti i posti occupati: convinto che gli “autoctoni” abbiano la precedenza, si rivolge in malo modo a Ismaila chiedendogli di alzarsi. Il giovane si rifiuta, i due cominciano a discutere in modo piuttosto animato, la tensione cresce. Alla fine, Ismaila viene ripetutamente accoltellato. Cinque giorni dopo, in occasione dei funerali del giovane a Rabat, 300 migranti subsahariani seguono il feretro invocando giustizia.
Questi due episodi, accaduti a distanza di poche settimane, hanno avuto grande risonanza mediatica, e hanno alzato il velo sul fenomeno del razzismo, istituzionale e non.

L’intervento del re
Da alcune settimane, si respira un clima nuovo in Marocco. Le discriminazioni contro i migranti – finora poco conosciute – sono al centro del dibattito politico. Le associazioni di tutela dei diritti umani prendono la parola: denunciano le violenze della polizia, la detenzione illegale di richiedenti asilo e rifugiati, le discriminazioni sul posto di lavoro, ma anche le forme diffuse di intolleranza (dal tassista che si rifiuta di prendere a bordo gli africani, alle case affittate “solo ai marocchini”).
Ma la vera e propria “svolta” risale al 9 settembre scorso, quando il Consiglio Nazionale per i Diritti Umani (Cndh) ha pubblicato un dettagliato dossier sulle politiche migratorie e i diritti fondamentali in Marocco.
Il documento chiede di rilasciare i permessi di soggiorno ai rifugiati riconosciuti dall’Onu, di garantire il divieto di espulsione a coloro che potrebbero subire violenze e abusi nei paesi di origine e – last but not least – di regolarizzare i migranti irregolari. Travolto da questa ondata di proteste, il re è stato costretto ad esprimersi: pochi giorni dopo la pubblicazione del dossier del Cndh, ha chiesto al governo di varare una nuova politica migratoria. E ha invocato la necessità di una “sanatoria” per gli irregolari.
Se questi buoni propositi si trasformeranno in atti concreti, è tutto da vedere. Intanto, per il Marocco è iniziata una fase nuova. Staremo a vedere.

Sergio Bontempelli