L’Italia meticcia

Originariamente pubblicato sul sito di Adif-Associazione Diritti e Frontiere

Un paese con sempre meno “immigrati”, e sempre più “minoranze etniche” discriminate ed escluse. È la fotografia che propone l’annuale Dossier Immigrazione

Da ormai un quarto di secolo l’équipe del Dossier Statistico Immigrazione (prima facente capo alla Caritas Italiana e alla Fondazione Migrantes, oggi pubblicazione autonoma dell’IDOS) ci propone ogni anno un panorama aggiornato su cifre, numeri e dati relativi all’immigrazione in Italia. Non è sempre facile districarsi nella mole di informazioni e tabelle proposte dal Dossier: ma, a saperla leggere con cura, l’edizione 2015 riserva numerose sorprese.

La prima balza agli occhi già dalle pagine iniziali del volume: per la prima volta in venticinque anni, la presenza straniera non cresce in modo impetuoso, ma rimane sostanzialmente stabile. I residenti non italiani aumentano infatti di circa 90.000 unità, e passano dall’8,1% all’8,2% della popolazione complessiva [Dossier 2015, pag. 8]. Giusto per fare un paragone, la presenza straniera era cresciuta di quasi mezzo milione di unità tra il 2006 e il 2007, mentre l’anno successivo si registrò un incremento di 458mila nuovi arrivi: in due anni, gli stranieri residenti erano passati dal 5% al 6,5% della popolazione totale [cfr. Caritas/Migrantes, Immigrazione. Dossier Statistico 2009. XIX Rapporto, Idos, Roma 2009, pag. 13].

Flussi migratori e “sbarchi”

Questo dato fa a pugni con quel che vediamo e leggiamo ogni giorno alla televisione, sui giornali o nei siti internet di informazione. Stando a quel che ci viene raccontato, infatti, siamo quasi quotidianamente invasi da richiedenti asilo, profughi e rifugiati, che sbarcano sulle coste meridionali del nostro paese a un ritmo sempre più sostenuto. Com’è possibile dunque che l’immigrazione registrata dal dossier IDOS sia stabile?

Il fatto è che i cosiddetti “sbarchi” sono solo una parte di un fenomeno assai più complesso e variegato. È vero che negli ultimi anni gli arrivi via mare sono vertiginosamente aumentati, fino a raggiungere la cifra record di 170mila nel 2014. È però altrettanto vero che, accanto all’incremento dei flussi di profughi, si è registrata una significativa contrazione delle migrazioni economiche “classiche”. Per dirla in modo semplice: arrivano sempre più imbarcazioni in Sicilia, ma alla Stazione Tiburtina di Roma sono sempre meno gli autobus carichi di lavoratori rumeni, albanesi o ucraini…

La cosa risulta evidente se raffrontiamo i dati sugli sbarchi – raccolti dalla Polizia di Stato – con quelli relativi alle migrazioni anagrafiche registrate dai Comuni. Nella tabella qui sotto, il risultato è chiaro:

 

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Immigrati a chi?

La seconda sorpresa rintracciabile nel Dossier riguarda – per così dire – lo stesso oggetto della ricerca. Il volume curato dall’Idos indaga infatti il fenomeno dell’immigrazione: eppure, la presenza straniera censita e scandagliata nelle 439 pagine del testo non è sempre riconducibile ai fenomeni migratori, cioè alla mobilità internazionale delle persone. Vediamo perché.

Dei 5 milioni di cittadini stranieri presenti al 31 Dicembre 2014, circa 7-800mila – un settimo del totale – sono di seconda generazione, cioè sono nati e cresciuti in Italia [Dossier 2015, pag. 213]. Ora, chi è nato qui, sia pure da genitori stranieri, non è tecnicamente mai stato un immigrato, nel senso che non si è mai mosso: a meno che non si voglia definire come immigrazione il passaggio dal grembo della madre al mondo esterno, nel qual caso dovremmo definirci tutti come migranti…

Non basta. Il Dossier ci spiega che, tra gli stranieri non appartenenti all’Unione Europea, il 54% ha in tasca un permesso di soggiorno per lungo soggiornanti, che viene rilasciato in presenza di requisiti molto precisi, tra i quali un’anzianità di soggiorno di almeno cinque anni. Ovviamente, vi sono molti stranieri – la cifra esatta è impossibile da determinare – che risiedono in Italia da più di un quinquennio, ma che per vari motivi non sono riusciti a ottenere il permesso lungosoggiornanti. Dunque, possiamo dire che gran parte dei non comunitari vive nel nostro paese ormai da moltissimi anni (da un lustro, o più).

Purtroppo non abbiamo il dato relativo ai cittadini dell’Unione Europea. Ma sappiamo che la stragrande maggioranza dei migranti UE proviene dalla Romania, e i flussi migratori da quel paese hanno avuto il loro boom attorno alla metà degli anni Duemila: è dunque ragionevole supporre che un buon numero di cittadini comunitari sia anch’esso residente in Italia ormai da moltissimi anni.

Ora, è corretto definire “immigrato” un signore che abita in Italia da cinque, dieci, o addirittura quindici anni, che magari ha messo su famiglia, ha fatto figli ed è perfettamente inserito nel tessuto sociale, tanto da essere divenuto stanziale? Se non concepiamo la qualifica di “migrante” come una specie di condanna a vita, dobbiamo riconoscere che si tratta in questo caso di “ex-immigrati”.

Ci sono troppi stranieri in Italia…

Parafrasando l’amico Enrico Pugliese, potremmo dire che ci sono troppi stranieri nel nostro paese. Non nel senso che piacerebbe a Salvini, ovviamente: il fatto è che troppe persone, ormai stabilmente inserite in Italia, o addirittura nate e cresciute qui, sono ancora classificate come “straniere”. Se avessimo una legge sulla cittadinanza degna di questo nome, una parte consistente dei cinque milioni di cosiddetti “immigrati” sparirebbe, e verrebbe inserita tra i cittadini italiani.

E qui viene un punto su cui sarebbe necessario cominciare a riflettere: l’Italia è sempre meno un paese di immigrazione, e sempre più una terra di minoranze “stranierizzate”, cioè etichettate e definite come “altre” e “diverse”. I lavoratori marocchini, rumeni o albanesi, spesso residenti nel nostro paese da tempo immemorabile, continuano a essere percepiti, e trattati, come “gente venuta da fuori”, dunque come degli intrusi, o almeno come “ospiti” tenuti a dimostrare la legittimità della loro permanenza.

Questa percezione collettiva ha effetti devastanti, perché anche a livello amministrativo gli “ex-immigrati” sono oggetto di trattamenti differenziali o di vere e proprie discriminazioni, come ci aveva raccontato qualche anno fa un bel libro di Chiara Saraceno, Nicola Sartor e Giuseppe Sciortino.

È insomma un’Italia sempre meno “straniera”, e sempre più “meticcia”, quella che ci descrive il rapporto IDOS di quest’anno. Un’Italia meticcia che però continua a pensarsi come etnicamente omogenea, secondo un modello di “purezza” tanto immaginario quanto devastante sul piano degli effetti sociali.

Sergio Bontempelli