L’arrivo della ferrovia a Pisa e la nascita del quartiere Stazione

Originariamente pubblicato sul blog personale di Sergio Bontempelli

In questi giorni si discute molto del futuro del quartiere Stazione di Pisa: può essere utile, allora, ripercorrerne la storia passata. Ecco come è nato quel quartiere, e come la Stazione distrusse – nel XIX secolo – il vecchio tessuto urbano della zona a Sud della città.

Era il 17 Marzo 1844, quando il primo treno percorse la breve distanza che separa Livorno e Pisa. I viaggiatori a bordo erano i primi toscani ad utilizzare la ferrovia nel territorio (allora) granducale. In quella che di li a poco sarebbe diventata l’Italia unita, erano state aperte pochissime strade ferrate: c’era la Napoli-Portici – la prima tratta costruita nel nostro paese -, una piccola parte del tracciato Napoli-Brindisi e la Padova-Mestre (a sua volta primo “avamposto” del futuro collegamento Venezia-Milano) [cfr. Cristiana Torti, Quando i treni a vapore…, in Cristiana Torti (a cura di), L’industria della memoria. Archeologie industriali in provincia di Pisa, Tagete edizioni, Pisa 2004, pagg. 77-83; Wikipedia, Storia delle ferrovie in Italia, «le origini»].

Il Granduca Leopoldo II di Toscana capì, prima e meglio di altri, l’importanza della ferrovia per lo sviluppo economico del Granducato. Per questo, sin dalla fine degli anni ’30 commissionò ai suoi tecnici la costruzione di una linea che collegasse i due luoghi strategici della Toscana: la capitale, Firenze, e il porto di Livorno, principale scalo commerciale della regione. All’inizio, si pensò ad una strada ferrata riservata esclusivamente al trasporto merci, il cui tracciato – tra l’altro – non prevedeva il passaggio da Pisa. Nel 1839, invece, Robert Stephenson propose il percorso Livorno – Pisa – Pontedera – Firenze, con un uso promiscuo merci/passeggeri: l’idea convinse il sovrano, e nel Giugno 1841 iniziarono i lavori del primo tratto, tra Livorno e Pisa. Nel frattempo, veniva costruita a Pisa la prima stazione ferroviaria della città, la cosiddetta Leopolda nell’attuale Piazza Guerrazzi [cfr. C. Torti, Quando i treni a vapore…, cit].

Lo sviluppo della rete ferroviaria toscana

La linea Pisa-Livorno non restò isolata. Il 19 Ottobre 1845 venne inaugurata la tratta fino a Pontedera, e il 12 Giugno 1848 fu terminato l’intero percorso fino a Firenze. Alla fine degli anni ’50, infine, fu aperto il tracciato che da Pisa portava a Lucca, e poi a Montecatini, Pistoia, Prato e Firenze. Per l’occasione, venne costruita a Pisa la seconda Stazione Leopolda, a Nord della città, dove passavano i treni per Lucca. Il Granducato di Toscana si trovò così ad essere, nel 1859, il terzo Stato italiano per consistenza della rete ferroviaria (257 km complessivi), dopo il Regno di Sardegna (850 km) e il Lombardo-Veneto (522 km): Pisa, con ben due stazioni e altrettante strade ferrate, diventò uno scalo ferroviario strategico per il granducato.

La costruzione di questa imponente (per l’epoca) rete di collegamenti e di binari non fu esente da conflitti e discussioni accese. «Voci contrarie alle strade ferrate», scrive in proposito Cristina Torti, «emersero in quegli strati di popolazione che vedevano irreversibilmente persa la propria attività, i navicellai e i barrocciai, mentre la questione delle espropriazioni dei terreni scatenò non poche contestazioni. Si diffuse anche la diceria che le locomotive e gli sbuffi di vapore danneggiassero le colture e la salute, ci furono sabotaggi da parte dei navicellai e processioni con benedizioni contro il “diabolico” congegno» [cfr. C. Torti, Quando i treni a vapore…, cit.].

La costruzione della Stazione Centrale

Intanto arrivò, nel 1861, l’unità d’Italia. Di fronte alla prospettiva dell’apertura delle frontiere tra i vecchi Stati della Penisola, e della mobilità che ne sarebbe derivata, la Società per le Strade Ferrate Livornesi – l’ente che gestiva la rete ferroviaria toscana – pensò di unificare le due stazioni cittadine, costruendo il nuovo scalo di Pisa Centrale. Fu individuata, a questo scopo, un’area a Sud della città, quella dove oggi sorge la stazione, non lontana dalla Leopolda.

La zona si trovava a ridosso delle mura urbane, il cui tracciato seguiva il percorso delle attuali Via Benedetto Croce e Via Ninio Bixio. Come sa qualunque pisano, tra queste due strade si apre, oggi, la grande Piazza Vittorio Emanuele, nel punto dove termina Corso Italia. Ecco qui sotto una piccola mappa, nella quale il tracciato (approssimativo) delle vecchie mura è evidenziato in rosso:

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All’epoca, venendo da Corso Italia (che allora si chiamava Carraia del Carmine, e prima ancora si era chiamata Strada San Gilio), e andando verso l’attuale Stazione (dunque, sulla cartina, dall’alto verso il basso), si incontravano – proprio alla fine del corso – le vecchie mura medievali, nelle quali si apriva la Porta San Gilio che oggi non esiste più. Non c’era ancora la grande Piazza Vittorio Emanuele: superata la porta, si imboccava direttamente la Via dei Cappuccini (attuale Viale Gramsci) che portava in zona S. Marco [per queste informazioni vedi E. Tolaini, Pisa. La città e la storia, ETS, Pisa 2007, pagg. 227 e ss.].

Per costruire la nuova Stazione centrale, si pensò di «sventrare» la Via dei Cappuccini, interrompendone il percorso con i binari. Nel Febbraio 1861, il progetto venne approvato dal Consiglio Comunale. Nel Maggio dello stesso anno, si ottenne la dichiarazione sovrana di pubblica utilità, che consentiva di procedere agli espropri dei terreni, e nel 1862 fu inaugurata la nuova Stazione centrale: cominciava, per quel quartiere di Pisa, un’epoca nuova [cfr. L. Nuti, Pisa. Progetto e città 1814-1865, Pacini ed., Pisa 1986, pagg. 135 e ss.].

La “barriera”

La costruzione del nuovo scalo ferroviario dette luogo all’esigenza di urbanizzare la zona tra la Stazione e la Carraia del Carmine. La progettazione di quest’area fu affidata all’ingegner Pietro Bellini, di cui si è già parlato in questo blog a proposito dei Lungarni: il disegno originario prevedeva l’abbattimento della Porta San Gilio, la distruzione di una parte considerevole delle vecchie mura, e l’apertura al loro posto di una grande piazza, di forma circolare, che avrebbe dovuto costituire la “porta di accesso” alla città per chi veniva dalla Stazione. I lavori cominciarono proprio con la demolizione della Porta San Gilio (1864). Intanto, però, nel 1866 il Bellini morì, e la gestione del progetto fu assunta dall’ingegner Vincenzo Micheli, padre del primo «piano regolatore» della città. La piazza fu ridisegnata in forma ellittica, con al centro un monumento al sovrano Vittorio Emanuele, e la struttura della Barriera Daziaria. Ecco come si presentava la piazza una volta ultimati i lavori:

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L’aspetto, come si vede, è assai diverso da quello odierno che tutti conosciamo:

(clicca sull’immagine per ingrandire)

L’intero quartiere subì una trasformazione profondissima. Oltre alla Stazione e alla piazza con la Barriera, fu costruito il Viale della Stazione sul tracciato della vecchia Via dei Cappuccini, la nuova Via Crispi (verso il Lungarno), mentre si ricostruirono il tratto urbano della Via Fiorentina (chiamato Viale Bonaini) e quello della Via Livornese (oggi Via Cesare Battisti) [cfr. E. Tolaini, cit., pagg. 230]. Nel frattempo, la storica “Carraia del Carmine” (oggi Corso Italia), fu ribattezzata Strada Vittorio Emanuele: strada, e non via, per evitare il gioco di parole (via Vittorio Emanuele!) che i pisani, per lo più di fede repubblicana, avrebbero facilmente diffuso… [cfr. E. Tolaini, cit., pag. 235, nota 18]

Nelle intenzioni dei progettisti, la zona doveva diventare il nuovo centro di Pisa. E infatti, oltre alle aree verdi e agli spazi aperti, sorsero sul nuovo Viale della Stazione tre alberghi-ristoranti e tre caffè, luogo di ritrovo abituale della borghesia cittadina.

I costi di tutta l’operazione, tuttavia, furono altissimi. In primo luogo, per il paesaggio e per la struttura urbanistica della zona: la distruzione delle mura medievali, la scomparsa di una delle porte storiche del tessuto urbano, lo smembramento del quartiere S. Marco ebbero un impatto devastante su tutta la zona Sud di Pisa. Ma la città pagò anche in termini economici. Nonostante la dichiarazione di pubblica utilità – che avrebbe consentito di acquisire i terreni tramite esproprio – l’amministrazione procedette per lo più a comprare le aree, con grave danno per le casse dell’erario. Nel 1886, le spese complessive per tutti gli interventi erano raddoppiate rispetto alla previsione iniziale, e Pisa risultò essere una delle città più indebitate d’Italia [cfr. E. Tolaini, cit., pag. 231 e pag. 233]. La speculazione e gli affari privati, insomma, ebbero la meglio sull’interesse pubblico.

La nascita della tramvia

Negli anni ’80 il sistema cittadino dei trasporti si arricchì di un nuovo strumento: il tram.

La prima linea, che collegava Pisa con Pontedera, fu inaugurata il 23 Agosto 1884: partiva dalla nuova Piazza Vittorio Emanuele, entrava in viale Bonaini, raggiungeva la Fornace Antonimi (nell’attuale quartiere de La Cella) e proseguiva a Riglione, Navacchio, San Benedetto e Fornacette, arrivando a Pontedera lungo il percorso della Via Fiorentina [cfr. C. Torti, Quando i treni a vapore…, cit.]. Il 18 giugno 1892 venne inaugurata la linea Pisa-Marina. Il tracciato partiva da Pisa – sempre dalla Piazza Vittorio Emanuele – passava sulle mura urbane all’altezza del Bastione Stampace, scavalcava il canale dei Navicelli, la ferrovia e la strada provinciale, e continuava sulla via Vecchia Livornese verso Marina.

Il nuovo quartiere si trovò cosi ad essere il crocevia di diversi mezzi di comunicazione: una stazione intermodale, per usare un termine che piace tanto all’amministrazione comunale di oggi.

 Sergio Bontempelli, 24 Luglio 2008