Dixie Chicks, rock contro la guerra

Originariamente pubblicato sul blog personale di Sergio Bontempelli

Non si direbbe, a vederle in questa foto. Tre ragazze biondo-platino, il sorriso stampato in carta patinata da vere regine dello star-system. E nello star-system, intendiamoci, ci sono davvero: sono famose (almeno negli Stati Uniti) e in questo non c’è nulla di male. Ma i loro pezzi sono quanto di meglio abbia prodotto la country-music negli ultimi anni. Ecco qui sotto un piccolo assaggio (su youtube la resa audio non è eccellente, ma dati i problemi di copyright bisogna accontentarsi…):

 

E se volete sentirne altre provate qui

A dare vita al gruppo, nell’ormai lontano 1989, sono due delle tre attuali componenti, le sorelle Martha Elenor Erwin e Emily Burns Erwin, rispettivamente violinista e banjoista, oggi conosciute coi nomi da sposate (Martha Maguire detta “Martie” ed Emily Robison). L’allora quartetto comprendeva anche la bassista Laura Lynch e la cantante chitarrista Robin Lynn Macy. Lo stile della band nei primi anni di attività è decisamente tradizionalista, ispirato all’immagine dei singing cowboy, e i primi tre album sono pubblicati da etichette indipendenti locali (Thank Heavens For Dale Evans del 1990, Little Ol’ Cowgirl del 1992, Shouldn’t A Told You That del 1993). Nel 1995 Laura Lynch e Robin Lynn Macy lasciano la band e vengono rimpiazzate dalla vulcanica e incontrollabile cantante Natalie Maines, figlia del noto chitarrista Lloyd Maines.

E’ una svolta nella vita del gruppo: il sound si fa meno tradizionale, più vicino al rock e più “popolare”. E nel 1998 arriva il primo contratto “importante” con la Monument Records, che pubblica Wide Open Spaces. La title track ed il singolo There’s Your Trouble raggiungono la vetta delle classifiche, mentre l’intero album diventa il disco di un gruppo country più venduto della storia. Del 1999 è Fly: i primi due singoli del disco, Ready To Run e Goodbye Earl tornano ai vertici delle classifiche, e le Dixie Chicks raggiungono ormai un pubblico sempre più vasto (bel al di là del country). Il terzo album, Home, segna un parziale ritorno a sonorità acustiche, e a melodie vicine alle tradizioni popolari.

In Home c’è anche uno dei loro pezzi più belli, Travellin’ Soldier, che è anche l’inizio di una lunga controversia. E’ passato poco meno di un anno dal drammatico attentato alle Twin Towers, stampa e televisioni hanno lanciato la crociata anti-islamica, gli Stati Uniti sono a un passo da una nuova avventura bellica: la canzone, che sembra uscita da un concerto di Joan Baez degli anni Settanta, rievoca il clima del Vietnam. Un soldato sta per partire in guerra, e conosce in modo casuale una ragazza col nodo ai capelli (“with a bow in her hair”) di cui si innamora: la loro storia, raccontata in pochi e brevi versi, è fatta di lettere scritte dal fronte, di attesa del ritorno, di ansia e di paura. E si conclude in modo tragico. Lo si capisce nella parte finale della canzone: a una partita di football, lo stadio si ferma per un attimo a commemorare i nostri morti in Vietnam (“the list of local Vietnam deaths”). Si declamano a uno a uno i nomi dei caduti: tutti sembrano distratti (“no one really cared”), tranne una ragazza col nodo ai capelli (“but a pretty little girl with a bow in her hair”). Ecco la canzone dal solito youtube:

 

L’anno successivo alla pubblicazione di Travellin’ Soldier scoppia la guerra contro l’Iraq, e la canzone diventa uno dei manifesti del movimento pacifista americano. Le Dixie Chicks sostengono apertamente le mobilitazioni del popolo della pace: durante un concerto a Londra, la cantante Natalie Maines scandisce la frase “we are ashamed that the president of the United States is from Texas” (Ci vergognamo che il Presidente degli Stati Uniti sia del Texas come noi). E scoppia il putiferio: il Partito Repubblicano protesta ufficialmente, gruppi di appassionati di country music si riuniscono inscenando roghi di dischi delle Dixie Chicks, le major revocano i contratti della band e, ciliegina sulla torta, Natalie Maines è oggetto di minacce di morte. Il tour del 2003 – nel corso del quale viene realizzato il live Top of The World Tour, forse il loro disco più bello – è scandito da proteste, polemiche, minacce esplicite e implicite. Il gruppo però non si ferma, promuove la causa della pace e reagisce in modo duro alle contestazioni. L’album successivo – Taking the long way – è del 2006, ed è in larga parte dedicato proprio alle vicende della controversia con Bush.