Articolo originariamente pubblicato sul blog personale di Sergio Bontempelli
Visto che si è riaperto proprio in questi giorni un dibattito sul diritto di voto agli immigrati, ripubblico un mio vecchio testo, elaborato per Africa Insieme e per Rebeldia, in cui ripercorrevo la storia del dibattito italiano sul diritto di voto ai migranti. Al testo originario ho aggiunto una serie di link a documenti, convenzioni internazionali, disegni di legge e sentenze, per aiutare chi lo vorrà ad approfondire il tema. La narrazione degli eventi si ferma al 2006, e quindi non parla degli interventi del Governo Prodi: non l’ho aggiornata perchè, purtroppo, l’esecutivo uscente non ha modificato la situazione, e le cose sono rimaste grosso modo com’erano…
Di diritto di voto agli stranieri si parla ormai da molti anni. Le prime richieste in questa direzione provengono dalle file del “movimento antirazzista” di fine anni ’80 e inizio anni ’90: l’elettorato attivo e passivo per gli stranieri residenti figura già nella piattaforma della “Convenzione Nazionale Antirazzista”, organizzata dal variegato mondo delle associazioni e delle comunità migranti nel Dicembre 1989 (vero e proprio atto di nascita, almeno in Italia, di un movimento per i diritti sociali e civili degli stranieri). Nello stesso periodo, sono proprio gli enti locali a farsi promotori delle prime iniziative concrete per l’estensione del diritto di voto: molti Comuni, già all’inizio del decennio, promuovono “consulte degli immigrati”, oppure prevedono nei loro Statuti la figura del “consigliere straniero aggiunto”, con diritto di parola e di proposta nel Consiglio Comunale, ma senza diritto di voto. Queste prime pionieristiche iniziative sembrano trarre nuova linfa vitale dall’approvazione della cosiddetta “Convenzione di Strasburgo” del 1992, che impegna gli Stati europei a favorire la “partecipazione degli stranieri alla vita pubblica locale”: anche se l’Italia non ratifica il “Capitolo C” della Convenzione – quello che parla esplicitamente di diritto di voto amministrativo – sembrano aprirsi nuove strade per i sostenitori di tale diritto.
Nel 1994, il voto agli immigrati approda anche nelle aule parlamentari. Il disegno di legge redatto dalla “Commissione di studio per una legge organica sulla condizione giuridica dello straniero in Italia” – meglio noto come “elaborato Contri” – prevede infatti, all’art. 45, l’istituzione di uno speciale permesso di soggiorno (detto “carta di soggiorno”) di durata quinquennale rinnovabile, per alcune categorie di stranieri: titolari di rapporti di lavoro continuativi da almeno cinque anni, coniugi di cittadini italiani o genitori di bambini italiani, beneficiari di pensioni di invalidità, rifugiati. Per queste categorie si prevede il diritto di elettorato attivo a livello comunale e circoscrizionale: in altri termini, si consentirebbe agli stranieri di votare, ma non ancora di essere eletti in organismi rappresentativi. L’elaborato Contri non viene però approvato dal Parlamento, e con esso sembra decadere anche la prospettiva del diritto di voto.
Tra il 1996 e il 1997, grazie alle mobilitazioni del movimento degli immigrati, alle proposte della Rete Nazionale Antirazzista (un cartello di associazioni impegnate sui temi dei diritti, che nel Maggio 1997 presenta un disegno di legge di iniziativa popolare per il diritto di voto) e alle autonome iniziative promosse da numerosi enti locali, l’idea di estendere il diritto di voto viene fatta propria da alcune proposte di riforma presentate dalla sinistra. L’esecutivo guidato da Romano Prodi decide allora di inserirla in un disegno di legge di iniziativa governativa, il ddl 3240, che diventerà poi la “Turco-Napolitano”. Riprendendo in parte le proposte dell’elaborato Contri, il ddl 3240 introduce la “carta di soggiorno” a tempo indeterminato, riservandola agli stranieri regolarmente presenti nel territorio dello Stato da almeno sei anni (poi ridotti a cinque a seguito delle modifiche parlamentari). Ai titolari di carta di soggiorno si prevede l’attribuzione del diritto di voto non solo attivo – come nella proposta Contri – ma anche passivo, nelle elezioni comunali.
La proposta Turco-Napolitano suscita però la vivace opposizione del centro-destra, che ne sostiene l’incostituzionalità: per introdurre il diritto di voto, sostengono i deputati dell’opposizione, occorre modificare l’art. 48 della nostra Carta fondamentale, che recita “sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”. Si tratta, in realtà, di una norma la cui interpretazione è controversa, ma che per il centro destra ha un significato univoco: i cittadini sono coloro che hanno la nazionalità italiana, e solo a loro deve essere riservato il diritto di voto.
Il Governo Prodi cede alle pressioni, e il 23 Settembre 1997 il Ministro Giorgio Napolitano dichiara, alla Commissione Affari Costituzionali della Camera, che la parte relativa al diritto di voto verrà soppressa dal disegno di legge: “il Governo”, spiega “ha doverosamente prestato attenzione agli interrogativi sollevati da diverse parti sulla sostenibilità dell’introduzione di quel diritto con legge ordinaria”. Così, mentre il disegno di legge “Turco-Napolitano”, ormai privato della parte relativa al diritto di voto, prosegue il suo iter parlamentare, il Governo si fa promotore di una proposta di modifica dell’art. 48 della Costituzione: presentata alle Camere il 25 Settembre 1997, la proposta non verrà mai discussa, e decadrà assieme alla legislatura.
Intanto, però, i sostenitori del diritto di voto possono vantare un piccolo passo avanti: il ddl “Turco-Napolitano”, che diventa legge dello Stato il 6 Marzo 1998, prevede per i titolari di carta di soggiorno la possibilità di “partecipare alla vita pubblica locale, esercitando anche l’elettorato quando previsto dall’ordinamento e in armonia con le previsioni del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992”. La formulazione, come si vede, è un po’ bizantina: si parla di diritto di voto “quando previsto dall’ordinamento”, proprio mentre si è deciso di toglierlo dalla legge! Eppure, per la prima volta si fa riferimento al famoso Capitolo C della Convenzione di Strasburgo: quello che parla esplicitamente di elettorato attivo e passivo alle elezioni comunali, che l’Italia non aveva ratificato. L’introduzione di un riferimento di questo tipo sembra indicare che, tacitamente, l’Italia aderisce anche al Capitolo C della Convenzione, e che dunque intende concedere il diritto di voto.
Nel 2001 il Governo di centro-sinistra lascia il posto a Berlusconi, che non manifesta particolari simpatie per gli immigrati e per i loro diritti: la questione dell’elettorato attivo e passivo sembra rimandata dunque a tempi migliori. Livia Turco e Luciano Violante, ormai all’opposizione, depositano in Parlamento, nel 2001, una nuova proposta di modifica costituzionale, destinata anch’essa ad avere vita breve. Nell’Ottobre 2003, durante un convegno del CNEL, Gianfranco Fini si pronuncia inaspettatamente a favore del diritto di voto agli immigrati. La proposta scatena un vero e proprio putiferio nella maggioranza di centro-destra, con la Lega che ribadisce il suo no deciso e i “centristi” che si dichiarano invece favorevoli. C’è poco di nuovo, in realtà, nelle proposte di Alleanza Nazionale: Fini ribadisce infatti che, per introdurre il diritto di voto amministrativo, è necessario intervenire sull’art. 48 della Costituzione, e propone alle Camere un progetto di legge destinato, come tutte le modifiche costituzionali, ad affrontare un cammino parlamentare lungo e tortuoso.
Intanto alcuni Comuni, già da tempo impegnati su questi temi, rompono gli indugi e promuovono a livello locale l’estensione del diritto di voto. Su La Repubblica del 10 Ottobre 2003 il Sindaco di Venezia, Paolo Costa, annuncia che modificherà lo Statuto del Comune per introdurre l’elettorato attivo e passivo degli stranieri residenti. Si tratta di un passo avanti coraggioso e innovativo: finora, gli enti locali avevano promosso iniziative simboliche – Consulte degli Immigrati, consiglieri aggiunti ecc. – senza però avere il coraggio di introdurre il diritto di voto in assenza di una legge nazionale. «Ma non scavalcate così le competenze dello Stato?» chiede, dubbioso, l’intervistatore. «Se qualcuno ha da obiettare», risponde il Sindaco di Venezia, «esiste pur sempre la Corte Costituzionale». «Noi rivendichiamo», aggiunge l’assessore Giuseppe Caccia, in un’intervista rilasciata al portale Melting Pot, «la possibilità di imprimere questa svolta a partire da un’autonoma scelta di ciascun municipio. […] Le proposte degli enti locali non possono e non devono rimanere gesti simbolici ma devono puntare ad una trasformazione sostanziale nelle condizioni di vita dei migranti e nel riconoscimento dei loro diritti all’interno di ciascun territorio».
Così, i Comuni di Genova e di Venezia sono i primi a modificare i propri statuti. Nel capoluogo ligure, la decisione del consiglio comunale di estendere il diritto di voto arriva dopo le pressioni di un cartello molto ampio di realtà della società civile (che comprende, tra gli altri, la storica associazione locale “Città Aperta”, la CGIL e le ACLI). Analoghe forme di sensibilizzazione sono promosse a Venezia dalle numerose realtà sociali, che da anni animano le esperienze di bilancio partecipativo e di municipalismo. Il Ministero dell’Interno non tarda a rispondere: con una circolare emanata il 22 Gennaio 2004, il dicastero ribadisce l’illegittimità dell’operato dei Comuni, e li “richiama all’ordine” sostenendo che ogni modifica del corpo elettorale deve passare per legge costituzionale. L’intervento dell’autorità centrale non ferma però gli enti locali e le forze della società civile, che anzi annunciano un ricorso al Consiglio di Stato. Si moltiplicano intanto le amministrazioni che modificano i propri Statuti: tra le altre, interviene la Regione Toscana, che nella propria carta fondamentale (all’art. 3) introduce l’impegno a sostenere il diritto di voto (è la prima Regione a farlo). E il nuovo movimento per il diritto di voto ottiene indiscutibili successi: nel Gennaio 2004 interviene infatti una risoluzione del Parlamento europeo; nel Luglio 2004 il Consiglio di Stato autorizza l’estensione dell’elettorato agli stranieri per le elezioni nei quartieri e nelle circoscrizioni; infine, nel Dicembre 2004, la Corte Costituzionale dichiara legittimo lo Statuto della Regione Toscana.
La “doccia fredda” arriva però dalla Adunanza del Consiglio di Stato del 6 Luglio 2005: «Deve escludersi», si legge nella Sentenza, «che i diritti politici, nei quali si inquadra agevolmente il diritto di voto nelle elezioni amministrative, possano avere un contenuto differenziato nell’ambito della Repubblica e che possano perciò […] espandersi o comprimersi via via che ci si trasferisce sul territorio». Traduzione: i Comuni non debbono fare di testa propria. Il diritto di voto agli immigrati può essere stabilito solo dal Parlamento.
È sulla base di questa sentenza che il Governo emana un decreto, datato 17 Agosto 2005, con il quale si dispone l’annullamento della delibera del Comune di Genova. Sembra la parola fine – provvisoria, ma pesante – alle speranze dei Comuni e dei migranti. Ma non è così. ANCI, CGIL, amministrazioni locali invitano a proseguire la battaglia, e a modificare gli Statuti, magari in attesa di un pronunciamento della Corte Costituzionale più sostanzioso di quello emanato a proposito della Regione Toscana (quest’ultima, infatti, aveva inserito nello Statuto solo un auspicio, non una previsione normativa). Intanto, l’ANCI nazionale si fa promotrice di una proposta di legge per l’estensione del diritto di elettorato attivo e passivo. Non la parola fine, dunque, ma l’inizio di un’altra storia.
Per approfondire:
– La partecipazione politica degli stranieri a livello locale. Working paper ASGI-FIERI. Approfondimenti giuridici, panorama internazionale, storia del dibattito nazionale, rassegna degli interventi delle amministrazioni locali e molto altro
– Angela Rodano, Il diritto di voto agli immigrati: quale possibilità di intervento per le autonomie territoriali?, Atti del Convegno S.I.S.E., Firenze 2006
– Ernesto Bettinelli, Cittadini extracomunitari, voto amministrativo e Costituzione inclusiva, paper ASTRID 2004
– Renato Finocchi Ghersi, Immigrati e diritto di voto nell’attività consultiva del Consiglio di Stato, in “Giornale di Diritto Amministrativo”, n. 5/2006
– Sabrina Bagnato, Sul diritto di voto degli immigrati in Italia, considerazioni normative, 2005
– Portale Melting Pot, pagina sul diritto di voto. Articoli, approfondimenti, documentazione varia
– Portale Stranieri in Italia, pagina sul diritto di voto. Articoli, approfondimenti, documentazione varia