C’era una volta il Questore di Pisa

Sergio Bontempelli e Dario Danti
originariamente pubblicato su «Carta», settimanale, 15-21 Gennaio 2004

19 Luglio 2003: all’alba, la polizia irrompe nei locali occupati dai disobbedienti e ne ordina lo sgombero, provvedendo anche alla denuncia degli occupanti. Siamo a Pisa, e nella città che ha dato i natali al ‘68 nessuno si scandalizza per l’occupazione di un edificio abbandonato: specialmente se quello stesso edificio diventa per 50 giorni un luogo di incontri, dibattiti e feste aperte a tutti, e se gli occupanti provvedono alla bonifica dell’area circostante (divenuta nel tempo una comoda ed invisibile discarica in pieno centro cittadino). Lo sgombero appare però, ad occhi poco attenti, una storia come tante altre: in fondo quei ragazzi, pur avendo suscitato le simpatie degli abitanti del quartiere, hanno commesso un reato, e la polizia ha pur sempre fatto il suo dovere. Certo, ha usato modi insolitamente duri che si potevano evitare: ma sono cose che capitano.

E invece non si tratta del “solito” sgombero: siamo di fronte – lo vedremo tra poco – al prologo di un’altra storia. I ragazzi del Rebeldia – così era stata ribattezzata la struttura nei 50 giorni dell’occupazione – protestano, fanno sentire la loro voce e decidono di rientrare nell’edificio per poche ore, a titolo simbolico. La risposta della polizia non si fa attendere: e lo sgombero, stavolta, è eseguito con insolita durezza. Il capo della DIGOS, nel corso delle operazioni, estrae addirittura la pistola: lo ferma solo l’intervento di Giovanni Russo Spena e Titti de Simone, deputati di Rifondazione giunti a Pisa per garantire lo svolgimento pacifico della manifestazione.

5 Giugno 2003: la stampa locale dà notizia che, nell’ambito della riorganizzazione interna della Questura, il Dirigente dell’Ufficio Immigrazione dott. Giuffrida viene confermato nel suo incarico. Cambia, invece, il responsabile della Divisione P.A.S., cioè la struttura che coordina il lavoro degli uffici amministrativi (passaporti, porto d’armi, immigrazione ecc.). Passano circa due mesi e cambia anche il dirigente dell’Ufficio Immigrazione. Sembrano normali avvicendamenti burocratici, come quelli già avvenuti pochi mesi prima ai vertici della DIGOS, e nessuno dà peso alla notizia: ma anche le piccole cose, a volte, hanno la loro importanza.

E infatti, nell’arco di poche settimane cambia tutto: l’Ufficio Immigrazione decide di non ricevere più né avvocati, né associazioni. I problemi che da anni caratterizzano lo sportello al pubblico – scarsità di personale, fascicoli persi, violazione sistematica dei diritti degli utenti – non vengono più risolti dall’intervento del dirigente, e si trasformano in veri e propri drammi: gli stranieri sono costretti a fare lunghe file per sentirsi dire che il soggiorno è stato perso, e non possono rivolgersi ad un legale. Per di più, l’intraprendente responsabile della divisione P.A.S. decide di negare il permesso di soggiorno a numerosi rom del campo nomadi, per i quali un progetto del Comune – generosamente finanziato dalla Regione Toscana – prevedeva percorsi di regolarizzazione e l’inserimento abitativo in case popolari o in alloggi pubblici.

Così, a trovarsi vittime di una nuova gestione autoritaria della Questura sono non solo i disobbedienti del Rebeldia, ma anche gli stranieri, gli avvocati, le associazioni di volontariato e gli stessi enti locali. E il comportamento del nuovo Questore dott. Eugenio Introcaso, da poco più di un anno a Pisa, comincia ad assumere un profilo chiaro: non si tratta infatti dell’eccesso di zelo di un poliziotto troppo legato al suo ruolo, ma di un vero e proprio progetto politico. Sulla stampa locale, per tutto l’anno 2003, appaiono centinaia di articoli che celebrano le gesta della Polizia di Stato: retate contro prostitute e stranieri, azioni antiracket, controllo capillare del territorio, sequestro di merce contraffatta sono notizie che ogni giorno rimbalzano sulle prime pagine e sulle “civette” dei giornali.

Il dott. Introcaso, insomma, comunica direttamente con l’opinione pubblica e con la stampa locale, vuole parlare al “cittadino” e all’”uomo qualunque” solleticando il suo bisogno di ordine e sicurezza. E rifiuta ogni forma di mediazione sociale: gli enti locali, i sindaci, le associazioni, gli stessi avvocati sono un fastidio inutile. Il progetto di Introcaso sembra calare dall’alto: e la nuova Questura, con quel mix di gestione autoritaria e di comunicazione mediale, appare la longa manus berlusconiana in una piccola città della “rossa” Toscana.

E’ forse anche per questo motivo che, per lunghi mesi, nessuno apre bocca per contestare i nuovi orientamenti della polizia locale: il dott. Introcaso sembra molto forte, è sicuro di sé ed è protetto da Roma. L’orientamento decisionista della Questura finisce così per nutrirsi di un ingrediente fondamentale per ogni progetto politico autoritario: la paura. Hanno paura gli stranieri, che temono per i loro permessi di soggiorno; hanno paura le associazioni di volontariato, che difendono persone vulnerabili e temono ritorsioni contro i loro assistiti; hanno paura gli enti locali, che nel dott. Introcaso vedono un uomo potente e inattaccabile; e si ha paura per le decine di denunce che piovono ad ogni manifestazione e iniziativa pubblica.

Così, per mesi interi nessuno fa il primo passo, e la foto del dott. Introcaso campeggia indisturbata su tutti i quotidiani locali, a garantire quiete e sicurezza al cittadino comune. Sono poche le storie a lieto fine, ma questa per fortuna lo è. I ragazzi del Rebeldia sono i primi a rompere il silenzio. “La questione dello spazio” – racconta Ciccio Auletta dei disobbedienti – “diventa la questione degli spazi. Abbiamo denunciato i tanti immobili di proprietà dell’Università comprati e lasciati abbandonati da anni: si tratta di migliaia di metri quadri in pieno centro”. Così a Novembre l’occupazione temporanea della ex officina Fiat Etruria vede all’interno una tre giorni di socialità e politica. Intorno a questa esigenza di “intendere lo spazio pubblico come bene comune” si forma anche un cartello della società civile con l’adesione di oltre trenta associazioni cittadine e, tra i singoli, del regista di Segreti di Stato Paolo Benvenuti. All’inizio di Dicembre, due nuove occupazioni – una dei disobbedienti, l’altra degli studenti delle scuole superiori – finiscono con il solito sgombero e con le solite minacce.

Gli occupanti non ci stanno e protestano pubblicamente: chiedono solidarietà e si rivolgono ai partiti, al sindaco, agli enti locali. In poche ore il clima di silenzio si trasforma in un frastuono assordante: contro gli sgomberi intervengono Rifondazione, i Verdi, la Margherita, i DS, il Sindaco di Pisa e il Presidente della Provincia, il consiglio comunale e due consigli di circoscrizione, gli ultras della squadra di calcio, la Legambiente e la Rete di Lilliput. Un lungo corteo di mille persone – la stessa “gente” che doveva costituire l’interlocutore naturale del dott. Introcaso – sfila per le strade cittadine.

Il silenzio si è rotto, e a prendere coraggio sono stavolta gli stessi poliziotti in servizio alla Questura di Pisa, vessati da provvedimenti disciplinari e trasferimenti punitivi: nessuno ci aveva pensato – forse per l’antica diffidenza che una città sessantottina riserva alla gente in divisa – ma sono loro le prime vittime del “nuovo corso”. Il 14 Dicembre, quattro sigle sindacali per la prima volta unite attaccano, e denunciano sulla stampa locale il “clima di terrore” instaurato all’interno della Questura.

Passano pochi giorni e arriva l’ultima bordata. Africa Insieme, la storica associazione cittadina impegnata sui diritti dei migranti, accusa l’Ufficio Immigrazione: minacce, pratiche sparite, diritti sistematicamente calpestati, irreperibilità dei dirigenti. E annuncia tre interrogazioni parlamentari: una, alla Camera, di Giovanni Russo Spena (PRC), una al Senato di Stefano Boco (Verdi) e l’ultima, sempre al Senato, dell’ex Rettore dell’Università di Pisa Luciano Modica e della senatrice Vittoria Franco (DS).

“Per chi, come noi, l’ha vissuta dall’interno”, spiega Giuliano Campioni, docente universitario e Presidente di Africa Insieme, “questa è una storia drammatica, difficile, costellata di paure e di preoccupazione. A raccontarla, invece, sembra sin troppo banale”. Banale perché, anzitutto, come le favole dei bambini, ha un lieto fine: il 27 Dicembre, pochi giorni dopo le numerose denunce pubbliche contro l’operato del Questore, i giornali locali annunciano il trasferimento del dott. Introcaso a Taranto. E poi perché, come le più stucchevoli storie dei bambini, ha una “morale della favola”. Anzi due.

La prima “morale della favola” è che la paura è cattiva consigliera: chi sembra invincibile spesso non lo è, e gioca proprio sul timore di chi gli sta vicino, sul suo silenzio e sulla sua forzata complicità. La seconda “morale della favola” è che l’unione fa la forza. Nessuno prima d’ora, a Pisa e forse anche altrove, aveva anche solo immaginato che potessero finire dalla stessa parte, ognuno col suo linguaggio, i disobbedienti, i migranti, il volontariato e i sindacati di polizia: e invece è proprio la pluralità delle voci che ha garantito efficacia e risultati. Un lieto fine e due morali della favola: proprio una piccola storia, insomma, quella di Pisa. Quasi non valeva la pena raccontarla.

Sergio Bontempelli e Dario Danti