Baraccopoli a Pisa, alcuni dati

Originariamente pubblicato sul blog personale di Sergio Bontempelli

Si parla molto in città delle cosiddette baraccopoli: poveri insediamenti di baracche e tende, abitati da cittadini stranieri che versano in condizioni di grave marginalità abitativa. Il termine baraccopoli è in realtà improprio, perchè con questa parola si indicano generalmente campi di grandi dimensioni – vere e proprie “città di baracche”, appunto – mentre una delle caratteristiche del territorio pisano è proprio la ridotta entità di gran parte degli insediamenti. A detta di politici, amministratori e quotidiani locali, i campi in città sarebbero notevolmente cresciuti, fino a diventare negli ultimi anni un vero e proprio problema di ordine pubblico e di pacifica convivenza.

Ma le cose stanno davvero così? Davvero vi è stato un rilevante incremento delle presenze? Ho provato a verificarlo prendendo in esame la serie storica dei censimenti sui campi nomadi, effettuati tra il 1988 e il 2007: e i risultati, per la verità, hanno sorpreso anche me. Proviamo ad analizzarli.

Nessuna “invasione”, presenze stabili negli ultimi venti anni

Ecco, in forma sintetica, i diversi censimenti delle presenze condotti da vari istituti di ricerca tra il 1988 ed oggi. I dati si riferiscono al territorio del Comune di Pisa.

Anno Fonte Rom Rumeni Altri Totale
1988 Fondazione Michelucci 600 0 0 600
1989 Fondazione Michelucci 439 0 0 439
1993 Opera Nomadi Pisa 360 0 0 360
1995 Comune di Pisa 240 0 0 240
1997 CERFE-SIMURG 400 0 0 400
1997 Jasim Tawfik Mustafa 200 0 0 200
2001 Fondazione Cassa di Risparmio di Pisa 378 n.r. n.r. 378
2002 Zona sociosanitaria 451 n.r. n.r. 451
2006 Africa Insieme 490 63 75 628
2007 Fondazione Michelucci 342 150 100 592

La tabella riprodotta qui sopra richiede alcune spiegazioni preliminari.

Il primo dato, quello del 1988, si riferisce esclusivamente agli abitanti del vecchio campo dei Mortellini, a Coltano, che oggi non esiste più: già allora, in città esistevano numerosi altri insediamenti, per cui la cifra di 600 è largamente sottostimata. Possiamo supporre che in quel periodo vi fossero almeno 700 persone nei campi nomadi, regolari e “abusivi”.

I dati forniti dal Comune nel 1995, e quelli di Mustafa due anni dopo, non sembrano invece attendibili: essi si riferiscono esclusivamente alle famiglie seguite dai servizi sociali, ma allora gran parte dei Rom non erano conosciuti e censiti dagli enti pubblici. Queste cifre andrebbero dunque, prudentemente, espunte dalla tabella.

Infine, nelle ultime due rilevazioni – quella di Africa Insieme del 2006, e quella della Fondazione Michelucci l’anno dopo – vengono presi in considerazione anche gli insediamenti abitati da popolazioni diverse dai Rom. E’ certo però che questi insediamenti esistono da molto prima: secondo le informazioni di Africa Insieme, in particolare, i primi campi di rumeni risalgono al 2001, mentre per quanto riguarda i gruppi di tunisini, marocchini e albanesi le informazioni sono più incerte, ma realtà di questo tipo esistono almeno dal 2003. Vedremo tra poco quanto questo sia rilevante ai fini del nostro disorso.

La lettura corretta della tabella impone una prima conclusione: dal 1988 ad oggi – nell’arco dunque di venti anni esatti – le presenze nei “campi” sono rimaste relativamente stabili, oscillando tra 400 e 6-700 persone. Un dato sorprendente, se si pensa agli arrivi di Rom rifugiati dalle guerre jugoslave negli anni ’90, e ai flussi di rumeni del periodo 2001-2008. L’allarme suscitato da una presunta “invasione” verificatasi negli ultimi tempi sembra dunque completamente infondato (anche se, come vedremo, la cosa merita di essere approfondita meglio). Segnalo che queste conclusioni sembrano in linea con quanto avviene in Toscana dove, secondo il recente studio condotto dalla Fondazione Michelucci, le presenze nei “campi” risultano diminuite pressochè ovunque, seppur non in modo consistente. Vediamo l’evoluzione del fenomeno a Pisa sotto forma di grafico:

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Scomporre le cifre: chi arriva e chi se ne va

Questo quadro di sostanziale stabilità del fenomeno va tuttavia scomposto, evidenziando i diversi flussi migratori che vanno a costituire la realtà delle cosiddette baraccopoli.

Da questo punto di vista, il primo dato da considerare è quello della sostanziale scomparsa, nel nostro territorio, dei Sinti, che – per semplificare all’estremo – potremmo definire come “i Rom di nazionalità italiana”: si trattava di una componente molto rilevante nei campi tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 (circa il 70% delle presenze rilevate da Opera Nomadi nel 1993), e che è poi gradualmente scomparsa (oggi, vi sono non più di quattro-cinque famiglie).

Per quanto riguarda i Rom provenienti dalla ex-Jugoslavia, i dati ci restituiscono una diminuzione tra il 2002 e il 2007 (da 451 a 342 individui). Si tratta, in questo caso, della diminuzione delle presenze nei campi, e non in città: molte famiglie, infatti, sono state inserite nel programma Città Sottili e hanno avuto una casa. Nel dato che riguarda gli insediamenti, bisogna perciò tenere conto del fatto che molti si sono allontanati perchè hanno trovato alloggio, altri invece sono arrivati a Pisa proprio nel periodo 2002-2007. A proposito del programma Città Sottili, si era sostenuto che un piano di inserimento abitativo avrebbe determinato un effetto richiamo: il miraggio di avere una casa avrebbe cioè spinto tantissimi Rom a venire a Pisa, e avrebbe determinato così una vera e propria invasione del nostro territorio. Un piccolo effetto-richiamo c’è stato ma, come si vede, le presenze di Rom nei campi sono sostanzialmente calate: un altro mito da sfatare, dunque…

Più complesso, e per molti aspetti ancora tutto da scoprire, è il fenomeno dell’abitare precario che coinvolge tunisini, albanesi, marocchini, stranieri in genere. Gli unici due studi che hanno provato a indagare questa realtà sono quello di Africa Insieme del 2006 e quello, recentissimo, della Fondazione Michelucci: prima di allora, nessuno aveva promosso ricerche specifiche su questi gruppi, e oggi è molto difficile avere un quadro chiaro dell’evoluzione della loro presenza negli ultimi anni. Confrontando i dati del 2006 e quelli del 2007, sembra di poter dire che si tratta di un fenomeno in lieve crescita, ma ancora molto contenuto.

Del tutto diversi sono invece i dati che riguardano i rumeni: nell’arco di un solo anno – tra il 2006 e il 2007 – le presenze sono più che raddoppiate. Negli anni precedenti, secondo rilevazioni di Africa Insieme, questo flusso migratorio ha avuto un andamento discontinuo: i primi arrivi sono del 2001, e fino al 2004 si è registrata una lenta ma continua crescita. Nel biennio 2004- 2006 i flussi migratori sono diminuiti, mentre nel 2007, in coincidenza dell’ingresso della Romania nell’Unione Europea – e della conseguente apertura delle frontiere – si è registrato l’arrivo di nuove presenze. Ma, anche in questo caso, gli allarmismi sono ingiustificati: secondo le rilevazioni di Africa Insieme e della Fondazione Michelucci, infatti, quello dei rumeni sarebbe, nella sostanza, un unico flusso migratorio, proveniente da due piccoli paesi vicini a Craiova, Lipovu e Segarcea. In tutto, i due villaggi contano poche migliaia di abitanti, e coloro che si sono trasferiti a Pisa hanno tra loro rapporti di parentela, amicizia o vicinato. Si è trattato davvero, in questo caso, di un “effetto richiamo”: persone che originariamente erano emigrate a Milano o a Bologna sono state “chiamate” qui da parenti o amici che raccontavano di un territorio più ospitale, dove gli sgomberi sono più rari e in ogni caso meno violenti, dove il tessuto del volontariato cittadino è in grado di fornire qualche risposta alle emergenze più gravi. Tuttavia, date le ridotte dimensioni dei villaggi di origine, anche questo flusso è destinato ad esaurirsi nel giro di pochi anni. Ciò non esclude, naturalmente, che arrivino altri rumeni, altre “catene migratorie” provenienti da città o villaggi diversi: allo stato attuale, si tratta però di eventi imprevidibili (lo sono, del resto, tutti i fenomeni migratori…).

La scomposizione dei dati ci aiuta a capire perchè vi sia stata una sostanziale stabilità delle presenze negli anni: le cosiddette baraccopoli sono una realtà complessa, all’interno della quale confluiscono gruppi e flussi migratori diversi. In questo quadro, accanto alla crescita spesso impetuosa di alcuni gruppi per circoscritti periodi di tempo (i Rom della ex-Jugoslavia negli anni ’90, i rumeni oggi), si sono verificate altrettanto rilevanti diminuzioni quantitative di altri gruppi (per esempio, i Sinti). Il risultato di questi fenomeni è l’equilibrio complessivo che vediamo oggi: anch’esso suscettibile, è bene saperlo, di trasformazioni e modificazioni negli anni a venire.

La diversificazione delle presenze

Questo elemento – la diversificazione delle presenze – è a mio parere decisivo per comprendere il fenomeno, così come si è strutturato negli ultimi cinque-sei anni. Mentre, storicamente, i “campi” e gli insediamenti “abusivi” erano abitati esclusivamente dalle minoranze Rom e Sinte, oggi nelle baracche troviamo un universo di gruppi sempre più compositi, il cui denominatore comune è il fatto di essere esclusi dal mercato “normale” degli affitti.

Si tratta dunque di un cambiamento non quantitativo – per ora, come si vede, i numeri restano paragonabili a quelli di venti anni fa – ma qualitativo. Non siamo in presenza di un gruppo – quello dei Rom e dei Sinti – vittima da decenni di una secolare forma di discriminazione abitativa, ma di una modalità di abitare precario che coinvolge segmenti sempre più ampi di popolazione, che non riescono ad inserirsi nel mercato degli alloggi. Può aiutare, da questo punto di vista, il raffronto con la realtà toscana: secondo la recente rilevazione della Fondazione Michelucci, nell’area fiorentina e pratese la presenza di cittadini italiani nelle cosiddette “baraccopoli” è notevolmente cresciuta negli ultimi anni. Si tratta di un fenomeno che, a Pisa, si manifesta ancora in forme molto embrionali. Per ora, nel nostro territorio i cittadini italiani che troviamo nei campi – si tratta di pochissime unità – sono per lo più stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza, oppure coniugi di migranti che già abitavano nei campi. Eppure, anche da noi alcuni segnali indicano che si va nella stessa direzione dell’area fiorentina e pratese. Alcuni anni fa, un’inchiesta di Università Antagonista rivelò situazioni drammatiche di esclusione abitativa: in una povera baracca alla periferia della città, fu trovata persino un’insegnante precaria di scuola media, che non aveva i soldi per pagare un regolare affitto…

Cambiare paradigma: le “baraccopoli” non vengono da fuori

Il punto vero è che occorre, nel dibattito politico locale, cambiare paradigma, ossia mutare profondamente la chiave di lettura che usiamo per interpretare la realtà delle cosiddette “baraccopoli”. In genere ci immaginiamo gruppi di nomadi venuti da fuori – da fuori Pisa, o dall’estero -, che finiscono nei campi in periferia per loro scelta “culturale”. In questa lettura mancano però alcuni passaggi. Tutti coloro che “vengono da fuori” cercano una casa, non la trovano e finiscono per costruire una “baracca”. Ed è sintomatico che nei campi troviamo spesso – è il caso per esempio dei piccoli insediamenti di marocchini, tunisini o albanesi – persone che in precedenza avevano una casa, e che poi non sono riusciti a tenerla (per i costi alti dell’affitto, per la perdita del permesso di soggiorno o per altri motivi). E, ancora: la presenza – per ora nell’area fiorentina e pratese, e solo in forma embrionale in quella pisana – di cittadini italiani a tutti gli effetti nelle cosiddette “baraccopoli” ci indica che sono sempre più numerosi, e sempre meno “altri”, i gruppi che non riescono a inserirsi nel mercato dell’affitto, e che per questo cercano soluzioni alternative al proprio bisogno di abitare.

Ciò che sta accadendo, dunque, non è l’arrivo da fuori di comunità che non vogliono, o non possono, inserirsi in casa. Piuttosto, il fenomeno che andrebbe indagato è l’espulsione dal mercato abitativo di settori via via più consistenti della società: nel passato gli “zingari”, ieri i rumeni, oggi gli stranieri in genere, domani anche gli italiani doc. Non sono dunque “loro” che arrivando da fuori minacciano il fragile equilibrio sociale della città: è invece proprio la città che li esclude, li espelle e li discrimina, con un movimento che domani – un domani non troppo lontano, visti i chiari di luna – potrebbe toccare anche a “noi”.

E’ anche per questo – soprattutto per questo – che la questione “baraccopoli” non andrebbe trattata dal punto di vista dell’ordine pubblico e della sicurezza: utilizzando metodi di polizia – sgomberi, espulsioni, allontanamenti, controlli – rischiamo di rafforzare i meccanismi discriminatori ed espulsivi. Ciò non ha nulla a che fare, naturalmente, con gli eventuali reati commessi da persone che vivono nei campi: reati che vanno perseguiti e puniti come si fa (come si dovrebbe fare) con chiunque. Ciò di cui si sta discutendo a Pisa non è questo, ma è la criminalizzazione tout-court dello stesso abitare precario, delle “baraccopoli” in quanto tali. In questo modo, si rende irrisolvibile un problema che andrebbe affrontato con strumenti di politica sociale e abitativa: e che andrebbe risolto prima che ci travolga…

Sergio Bontempelli

Fonti della tabella:
– 1988, censimento Fondazione Michelucci. In Fondazione Michelucci, Zingari in Toscana, Pontecorboli ed., Firenze 1993, pag. 133. Il dato si riferisce esclusivamente alle presenze nel campo dei Mortellini, che oggi non esiste più: potrebbe dunque essere sottostimato, perchè già allora vi erano diversi campi in città.
– 1989, censimento Fondazione Michelucci. In Fondazione Michelucci, Zingari in Toscana, Pontecorboli ed., Firenze 1993, pag. 26.
– 1993, censimento Opera Nomadi di Pisa. Citato in Fondazione Michelucci, Zingari in Toscana, Pontecorboli ed., Firenze 1993, pag. 26.
– 1995, censimento Comune di Pisa. In Comune di Pisa, U.O.C. Problemi sociali, Relazione sul campo nomadi, a cura della responsabile dott.ssa Fausta Bozzi, consegnata alla Seconda Commissione Consiliare Permanente del Consiglio Comunale il 7-3-1995.
– 1997, censimento CERFE-SIMURG. In CERFE, SIMURG, USL 5, Forum del Terzo Settore, Comune di Pisa, Università di Pisa, Comuni della zona pisana, Convegno sulle politiche sociali. Pisa 18-19-20 Giugno. Mappa dell’esclusione sociale, Pisa 1997, pag. 309.
– 1997, censimento Jasim Tawfik Mustafa. In Jasim Tawfik Mustafa, Gli immigrati nella Provincia di Pisa, pubblicazione a cura di Provincia di Pisa e Pubblica Assistenza di Pisa, Pisa 1997, pag. 31.
– 2001, censimento Fondazione Cassa di Risparmio. In Francesca Simoni e Francesco Tantussi (a cura di), Indagine conoscitiva assistenza categorie sociali deboli. Dicembre 2001, Fondazione Cassa di Risparmio, Pisa 2003, pag. 110.
– 2002, censimento Zona Sociosanitaria. In Zona sociosanitaria area pisana, Le città sottili. Programma della città di Pisa con la comunità rom del territorio: verso la Conferenza di Servizi. Documento di Programma – 1.0, USL5, Pisa 2002.
– 2006, censimento Africa Insieme. In Africa Insieme, Vite di Scarto. Marginalità sociale e marginalità abitativa dei migranti a Pisa, Pisa 2006.
– 2007, censimento Fondazione Michelucci. In Fondazione Michelucci, Immigrazione e abitare precario in Toscana, Firenze 2008 e in Fondazione Michelucci, Rom e Sinti in Toscana. Tra superamento dei “campi” e nuove baraccopoli, Firenze 2008.